Ripartenze (Prima pagina notiziario giugno 2021)
Uno dei termini che negli ultimi mesi si sente più frequentemente, nei più svariati contesti, è il termine ripartenza. Quanto avverrà prossimamente avrà senza dubbio un forte valore simbolico ed un impatto sui comportamenti e sulle abitudini che in futuro ci accompagneranno. Credo che questo discorso sia molto rilevante anche per la nostra Comunità. Gli sforzi profusi da parte della Comunità nell’ultimo anno non hanno raggiunto uniformemente tutti gli interessati. Ciò è imputabile a diversi fattori e limitazioni, dettati dalla situazione contingente. A breve, ci auguriamo tutti, queste limitazioni verranno accantonate, e sarà possibile tornare a una vita simile a quella che conoscevamo. Al contempo, anche le giustificazioni verranno ridimensionate. Durante l’ultimo Shavu’ot, vissuto nell’ansia e nell’angoscia per via della drammatica situazione in Israele, si è percepita in maniera abbastanza netta, ancora più che in passato, la disaffezione verso il Beth ha-Keneset da parte di un segmento fondamentale della Comunità, rappresentato dagli under 60 (!). Anche se ragioniamo sulle attività online organizzate negli ultimi mesi, il discorso non si sposta di molto. Certe dinamiche coinvolgono tante comunità della diaspora, e hanno diverse cause. Ad esempio, parlando in generale, gli elementi territoriali in un contesto sempre più globalizzato esercitano un peso progressivamente inferiore. Non vorrei ripetermi, ma per una realtà come la nostra queste dinamiche possono rivelarsi fatali. I gruppi più grandi risultano assottigliati, quelli più piccoli formalmente rimangono in piedi, ma di fatto non esistono. Noi ci troviamo, per via dei nostri numeri e della nostra struttura, in un momento cruciale per il nostro futuro, perché, in assenza di un ricambio fisiologico, la strada è irrimediabilmente – parola orrenda e per nulla ebraica – segnata. Pensare che non vi sia materiale umano sarebbe miope. Le persone e le risorse ci sarebbero, spesso mancano impegno e coinvolgimento. Anche qui le cause possono essere molteplici: sicuramente è possibile recriminare e attribuire alla struttura determinate carenze, ma per quanto i singoli individui possano esercitare un’influenza, francamente, per quanto si possa fare autocritica, sarebbe sovrastimata. Storicamente dei nuclei ben più piccoli, e per evidenti motivi più compatti, riuscivano a strutturare una vita ebraica più intensa e consapevole della nostra. È innegabile che le mutate caratteristiche del nostro mondo abbiano esasperato determinati processi, già in atto, ma il mondo ebraico nel tempo si è distinto per l’elaborazione di modelli originali che permettessero di confrontarsi con i cambiamenti. Questa ripartenza può essere l’occasione per avviare una nuova era per la nostra Comunità, ma è indispensabile il contributo di tutti.
Rav Ariel Di Porto
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Rav Elia Richetti z.tz.l. (Prima pagina notiziario maggio 2021)
L’ultimo giorno di Pesach ci ha lasciato Rav Elia Richetti, che avevamo ospitato in Comunità nel febbraio dello scorso anno in una bellissima e partecipata serata all’insegna della musica sinagogale, che era una sua grande passione. Spero che qualcuno possa raccogliere il testimone nella salvaguardia del patrimonio liturgico delle comunità italiane, alla quale Rav Richetti si era dedicato con coinvolgente entusiasmo. In una intervista del 2018 a Mosaico, commentando l’introduzione a Milano di musiche, sefardite, tunisine, ashkenazite, affermò: “Ho voluto portare il mondo intero su questa Tevà, ma sotto forma di note musicali”. Mi è difficile scrivere di una figura che ha dato tanto all’ebraismo italiano, in modo particolare alle comunità del Nord, per via dei numerosi aspetti, professionali e umani, che dovrei menzionare. La sua apertura verso il mondo e verso gli altri esseri umani in generale era notevole. Ha ricoperto un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella crescita del dialogo interreligioso. Amato rabbino capo di Trieste e Venezia, ha dedicato buona parte della sua esperienza rabbinica alla sua Milano, città in cui è nato, che ha conosciuto a fondo e amato. Mi ha colpito molto leggere le decine di commenti, di autorità e persone comuni, ebrei e non, nell’articolo del Bollettino di Milano che lo ricordava. Tutti lo hanno apprezzato per i suoi tanti interessi e per alcuni lati del suo carattere, che rappresentano un elemento fondamentale nella personalità di un rabbino: l’umiltà, la moralità, la curiosità, la disponibilità, la predisposizione all’ascolto, la simpatia, l’umorismo, la capacità di accogliere le persone con calore e disponibilità. Chi lo ha conosciuto non potrà dimenticare i suoi occhi, veloci e curiosi, che erano pronti a cogliere i minimi particolari in quello che vedeva, mantenendo la capacità di vedere il mondo con il candore di un bambino. Rav Richetti era coinvolto in mille progetti e iniziative, era sempre presente per tutti. Ero affascinato dalla sua presenza sui social network, dove interveniva con perizia e semplicità sulle questioni più disparate, non necessariamente rabbiniche. Maestro amatissimo nelle scuole ebraiche, rabbino presente nelle circostanze felici e tristi delle famiglie, cantore eccezionale nelle cerimonie in tanti Batè ha-keneset, ha istruito generazioni di ebrei italiani, accompagnando con dedizione la Comunità di Milano e non solo in una significativa crescita. L’ebraismo italiano perde un suo grande rappresentante, che è stato capace di essere il rabbino di tutti. Spero che in un prossimo futuro potremo assistere alla rappresentazione dello spettacolo scritto da lui, ispirato a Tewje il lattivendolo di Shalom Alechem, che doveva andare in scena a marzo scorso, bloccato per lo scoppio della pandemia. Il suo ricordo sia di benedizione.
Rav Ariel Di Porto
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Un Pesach particolare
Ormai è passato oltre un anno dall’inizio della pandemia che ha sconvolto le nostre vite. Probabilmente Pesach è stato il momento in cui abbiamo percepito più distintamente quanto fosse difficoltosa la situazione in cui tutti ci trovavamo coinvolti. Anche quest’anno si preannuncia un Pesach difficile. Nel momento in cui scrivo, sebbene manchino appena pochi giorni all’inizio della festa, ci sono degli aspetti che non sono pienamente definiti. Vi prego quindi di controllare le comunicazioni che la Comunità ha inviato nei giorni passati e quelle eventuali che invierà nei prossimi giorni. Anche questa volta l’impegno profuso per organizzare il tutto è stato notevole, e voglio ringraziare quanti si sono prodigati a vari livelli per costruire questo impianto. Salvo sorprese dell’ultima ora, avremo, diversamente dallo scorso anno, la possibilità di ritrovarci al Bet ha-keneset per la tefillà.
Quest’anno i preparativi di Pesach saranno diversi dal solito, per via di una particolarità nel calendario, per la quale il primo Seder sarà Sabato 27 sera. La vigilia di Pesach sarà quindi di Shabbat, e ciò comporterà alcuni cambiamenti nelle tempistiche rispetto agli altri anni, che riassumo. Ricordo che nei giorni passati è stato diffuso un opuscolo a cura dell’Ufficio rabbinico con molti particolari su queste norme. Il digiuno dei primogeniti sarà anticipato a giovedì 25 marzo. Quella mattina pregheremo al Bet ha-keneset e il Siyum massekhet (la conclusione dello studio di un trattato talmudico) sarà anche trasmesso in diretta per quanti non potranno venire al Bet ha-keneset. La ricerca del chametz è anticipata a giovedì sera; l’eliminazione fisica del chametz, sebbene sia consentito consumare chametz sino alla mattina di sabato alle 10.04, avverrà venerdì mattina, così come tutte le operazioni di kasherizzazione delle stoviglie andranno completate venerdì mattina. Sarà necessario difatti avere la possibilità di preparare, utilizzando le stoviglie kasher lePesach, i pasti per lo Shabbat e per il Seder di Sabato sera. L’eventuale delega per la vendita del chametz dovrà essere consegnata o inviata entro venerdì mattina. Per i pasti di venerdì sera e Sabato mattina è necessario recitare l’ha-motzì, utilizzando del pane (da consumare tassativamente entro le 10.04 di Sabato 27) o della matzà all’uovo. Entro le 11.20 di Sabato 27 verrà recitata come ogni anno la formula di annullamento del chametz.
Voglio ribadire un concetto che ho avuto modo di esprimere varie volte in questi mesi. Molti correligionari si trovano in difficoltà per vari motivi, economici, emotivi, sociali. È di vitale importanza in questo frangente che ciascuno si impegni a dedicare una piccola parte del proprio tempo e capacità per alleviare queste sofferenze. In molti casi una telefonata o un’offerta di aiuto può rivelarsi di fondamentale importanza per le persone.
Auguro a tutti voi e ai vostri cari un Pesach sereno e felice.
Rav Ariel Di Porto
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Via le nubi!
È passato quasi un anno dal lockdown dello scorso marzo. In quella notte di Purim le nostre sorti in quanto ebrei italiani sono mutate sensibilmente, e di lì a poco la quasi totalità del mondo ebraico sarebbe stata catapultata in un clima surreale, in uno dei momenti dell’anno, quello che conduce alla festa di Pesach, fra i più sentiti e vivaci. In molti casi non ci è stato possibile celebrare il Seder di Pesach con i nostri affetti, e non ci siamo neppure potuti riunire in preghiera nel Bet ha-keneset per via della drammatica situazione. Da allora sembra passata un’eternità, ed eccoci di nuovo a prepararci a Pesach, fra tante paure e nuove speranze. Vari membri della nostra Comunità, e nei prossimi mesi saranno sempre di più, nella speranza che si tratti di una misura efficace e definitiva, sono stati vaccinati. I numeri che arrivano da Israele, impegnato in una poderosa campagna vaccinale, fanno ben sperare. Ma è assolutamente evidente che non sia opportuno in questo momento abbassare la guardia, dal momento che ancora oggi ci troviamo in una situazione quantomai incerta. È già certo che, con grande rammarico, anche quest’anno non sarà possibile organizzare sedarim pubblici.
Per via della situazione in continua evoluzione, sebbene manchino appena poche settimane all’inizio di Pesach, non siamo ancora in grado di fornire delle informazioni precise su alcuni aspetti organizzativi, in modo particolare riguardo le modalità di distribuzione dei viveri kasher lePesach, e vi preghiamo pertanto di prestare attenzione alle informazioni che verranno prontamente fornite dalla Comunità tramite i canali istituzionali. A questo proposito vi prego di comunicare agli Uffici della Comunità eventuali modifiche ai vostri numeri telefonici e soprattutto agli indirizzi elettronici (e-mail) che sono il principale strumento utilizzato dalla Comunità per comunicare con gli iscritti.
Lo scorso anno uno degli aspetti in cui l’impianto edificato in fretta e furia dalla Comunità ha funzionato meglio è stato quello dell’assistenza agli iscritti, fornita grazie all’aiuto di numerosi volontari che si erano messi a disposizione. Spero che anche quest’anno l’esperimento, anche se le circostanze sono mutate, possa ripetersi. All’interno della comunità la pandemia ha acuito situazioni di disagio e di solitudine, e spesso una semplice telefonata può rivelarsi un grande aiuto per le persone.
Quest’anno peraltro Pesach è caratterizzato da una particolarità, dal momento che inizierà di Sabato sera, evento abbastanza raro, che non si verificava da oltre un decennio, che prevede l’applicazione di norme particolari valide per tale circostanza. La tempistica dei numerosi momenti che normalmente caratterizzano la vigilia di Pesach, che quest’anno cade di Shabbat, sarà differente dal solito, e ci sono delle norme speciali relative ai pasti dello Shabbat. Anche l’orario della tefillà del Sabato mattina della vigilia sarà sensibilmente anticipato. Per i dettagli rimando all’opuscolo preparato dall’Ufficio Rabbinico sulle norme di Pesach, che verrà diffuso nei prossimi giorni, ricordando che l’ufficio è a disposizione per qualsiasi dubbio o domanda.
Auguro a tutti, nella speranza che le nubi all’orizzonte scompaiano presto, di passare un Pesach sereno e felice. Chag sameach!
Rav Ariel Di Porto
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Un gradito ritorno (FEBBRAIO 2021 – I pagina)
La crisi determinata dal Coronavirus ci accompagna ormai da quasi un anno.
A Purim dello scorso anno le nostre vite sono cambiate sensibilmente. Da allora ci siamo abituati a tanti cambiamenti, grandi e piccoli.
Anche la preghiera al Bet ha-keneset ha visto avvicendarsi nei mesi, dalla sua ripresa alla fine di maggio, varie diverse impostazioni, che in base alle circostanze erano considerate quelle più adatte per garantire la massima sicurezza. Per le tefillot sono stati utilizzati vari ambienti, il Tempio Grande, che ci ha consentito, per via delle sue dimensioni, di svolgere in sicurezza le tefillot nei mo’adim autunnali, la tensostruttura che è stata allestita per Kippur per garantire a tutti la possibilità di pregare in quella solenne circostanza, il cortile della scuola durante l’estate, e quando il clima non lo ha più consentito il centro sociale.
L’unica costante che ci ha accompagnato in questi difficili mesi è stata il mancato utilizzo del Tempio piccolo, perché le sue caratteristiche non lo consentivano. La mancanza di una adeguata aerazione difatti rappresentava un ostacolo eccessivo per riunire un certo numero di persone per un periodo di tempo prolungato come quello delle tefillot.
Per questo, già da alcuni mesi, la Comunità si è mobilitata per cercare una soluzione per ovviare a queste difficoltà. Dopo aver considerato varie ipotesi operative si è optato per l’installazione di un macchinario, una UTA (Unità di Trattamento dell’Aria), che garantisce un adeguato ricambio dell’aria all’interno dell’ambiente del Tempio piccolo, senza tuttavia introdurre aria fredda dall’esterno, cosa che nei mesi invernali avrebbe rappresentato un problema non da poco.
Questa soluzione, che ci consente di tornare a utilizzare il Tempio piccolo, è quanto mai provvidenziale, per via del clima rigido delle ultime settimane. Il macchinario installato risponde sostanzialmente a due esigenze, una contingente, determinata dalla pandemia in corso, e una strutturale (l’umidità), che è stata acutizzata dal mancato utilizzo degli ambienti per un periodo prolungato. I tecnici ci hanno illustrato questo ultimo problema, che ha colpito gli ambienti del Tempio piccolo e che rientrerà gradualmente nel corso di alcuni mesi. Il macchinario installato, dal costo notevole, ha il vantaggio di non produrre un rumore eccessivo durante il suo funzionamento e di integrarsi piacevolmente all’interno degli ambienti.
Tutti saranno senz’altro felici di poter tornare a pregare nel Tempio piccolo, e ciò rappresenterà anche un segnale che accompagnerà il graduale ritorno alla normalità, che tutti ci auguriamo possa completarsi quanto prima. Vari membri della Comunità sono stati già vaccinati, e molti altri lo saranno nei prossimi mesi, con l’auspicio che ciò possa essere un ausilio risolutivo, che ci consentirà di tornare quanto prima a fare ciò che amiamo.
Rav Ariel Di Porto
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Scuola di vita (GENNAIO 2021 – I pagina)
Gli ultimi mesi hanno sottoposto la nostra comunità a una durissima prova. Vari personaggi storici della vita comunitaria ci hanno lasciato, creando vuoti difficilmente colmabili. Questa situazione si sovrappone a quella difficilissima determinata dal COVID, che non sta risparmiando, ciascuno a modo proprio, nessuno. Nell’ultimo mese abbiamo salutato due donne che, a diverso titolo, hanno scritto delle pagine fondamentali per la nostra comunità e per la nostra scuola, mi riferisco evidentemente a Lucetta Jarach Guastalla e Nedelia Lolli Tedeschi, che tutti ricordiamo con affetto e che, proprio per via della situazione attuale, non abbiamo potuto ricordare come avremmo voluto e dovuto. In queste poche righe non ho il modo di descrivere quanto e come queste donne abbiano contribuito a crescere varie generazioni di ebrei torinesi. Sicuramente quanti stanno leggendo potranno raccontare degli aneddoti e illustrare delle iniziative che non ho avuto modo di conoscere, ma sono in grado di percepire distintamente una cosa: queste donne hanno dedicato una considerevole parte della propria vita, volontariamente e professionalmente, a un settore che giustamente e meritoriamente consideravano vitale per una comunità ebraica. Non credo che serva spiegare quale sia la funzione di una scuola per una comunità come la nostra. Negli ultimi decenni la ferma e condivisibile decisione di mantenere una scuola ebraica, a dispetto di numeri che avrebbero suggerito di adottare una politica differente, è il segno chiaro e innegabile della convinzione dell’utilità di un certo modello educativo, al quale Lucetta e Nedelia hanno senz’altro contribuito significativamente, per i nostri bambini. Un modello basato sull’inclusione, su una dialettica squisitamente ebraica, su valori solidi, che ha senza dubbio esercitato un’influenza importante non solo sulla nostra comunità, ma sull’intera città. Questi ultimi mesi sono stati molto difficili anche per i nostri bambini, perché per ovvi motivi sono stati privati in buona misura della dimensione comunitaria. La scuola ha garantito, fra mille difficoltà, una notevole continuità nella didattica. Non vediamo l’ora però di riabbracciare i nostri bambini nel bet ha-keneset. Una funzione importante della scuola è anche quella di fungere da ponte in questo senso. In questi mesi di apparente fermo si sono sviluppate varie iniziative di studio, che spero possano continuare ed anzi essere intensificate quando torneremo, mi auguro quanto prima, alla vita come la conoscevamo in precedenza. Sarà necessario l’impegno di tutti, perché, a dispetto delle dichiarazioni di intenti, non sarà semplice rimettere tutti i pezzi al proprio posto, e in questo senso l’esempio di Lucetta e Nedelia e del loro incrollabile impegno, potrà guidarci in questa nuova sfida. Sia il loro ricordo di benedizione.
Rav Ariel Di Porto
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In memoria di Rav Sacks z”l (DICEMBRE 2020 – I pagina)
Dire che il 2020 sia stato un annus horribilis è un’affermazione di una banalità disarmante, ma se pensiamo ai personaggi di primissimo piano che il mondo ebraico ha perso a vari livelli, mondiale, nazionale e locale, non potremo che giungere, nostro malgrado, a questa scontata considerazione.
Dopo la scomparsa di Rav Steinsaltz appena tre mesi fa, un altro gigante del mondo rabbinico, Rav Jonathan Sacks z”l, ci ha prematuramente lasciato, creando un vuoto che sarà difficile colmare.
Cerco di spiegarmi meglio: Rav Sacks era capace di esprimere un approccio alle cose, almeno rapportandosi al mondo religioso contemporaneo, unico nel proprio genere, che arricchiva innegabilmente quanti entrassero a contatto con il suo pensiero, componendo in un quadro ammaliante universale e particolare.
Rav Sacks aveva la capacità di elaborare dei messaggi pienamente ebraici avvalendosi delle categorie proprie dei più svariati ambiti dello scibile umano: letteratura, storia, filosofia, psicologia, tecnologia, neuroscienze. Ogni avvenimento di questo mondo aveva una propria lettura ebraica, e ogni episodio biblico trovava il suo corrispettivo nelle ultime novità della letteratura scientifica. Con la sua opera ha mostrato al pubblico ortodosso la compatibilità della vita moderna con la religiosità ebraica, e al mondo intero la dignità della tradizione ebraica, esprimendo delle idee chiare, con un linguaggio alto, ma comprensibile a tutti.
Per molti anni è stato la voce ebraica più ascoltata al mondo, prendendo posizione, a volte anche in modo scomodo, su temi cruciali e a noi tutti cari come l’antisionismo, l’antisemitismo, l’identità ebraica, la centralità della famiglia, la crisi della società occidentale. Le sue riflessioni sui temi della responsabilità e della speranza sono illuminanti e ispirative.
Per comprendere la portata e la vastità della sua influenza, basti pensare che a un festschrift in suo onore hanno preso parte, oltre a numerosi rabbanim e personalità di spicco del mondo ebraico, due dei principali filosofi degli ultimi decenni, Alasdaire MacIntyre e Charles Taylor.
In Italia sono stati pubblicati due suoi volumi, che si interessano delle strategie da attuare per scongiurare lo scontro di culture e religioni, La dignità della differenza e Non nel nome di D. Il secondo libro in particolare fornisce una lettura molto affascinante di uno dei testi, a dispetto delle apparenze, più difficili all’interno della nostra tradizione, il libro di Bereshit, che gli era molto caro perché attraverso il proprio stile esprimeva l’idea fondamentale dell’ebraismo, che portiamo D. nel mondo per mezzo di atti e interazioni quotidiane. Spero che nei prossimi anni questo lavoro possa continuare, rendendo disponibili i numerosi volumi che Rav Sacks, con la sua sapiente eloquenza, ha scritto.
Rav Sacks ha espresso molte idee degne di essere approfondite. Sicuramente per una generazione di insegnanti ha rappresentato un riferimento imprescindibile, e mi auguro che molti sappiano mettere a frutto quanto hanno appreso da lui. Come amava dire “i buoni leader creano seguaci, i grandi leader creano leader a propria volta”.
Abbiamo perso uno dei personaggi più capaci e stimolanti nell’orizzonte intellettuale ebraico degli ultimi decenni, ma forti degli stimoli che abbiamo ricevuto dobbiamo raccogliere le forze per andare avanti e crescere sempre di più. Yehì zikhrò barukh, sia il suo ricordo di benedizione.
Rav Ariel Di Porto
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Ricordo di Tullio – z.l.
Lo scorso 11 agosto – 21 Av è scomparso Tullio Levi z.l., per lunghi anni e in più mandati Presidente della nostra Comunità.
Pubblichiamo di seguito un Suo ricordo, affidato alla penna di Franco Segre, uno dei suoi amici più stretti e insieme a lui protagonista per molti decenni della vita comunitaria.
Tullio Levi ci ha lasciati. La mancanza del suo pensiero e del suo dinamismo ci lasciano sgomenti!
Come potremo fare a meno del suo orientamento ideologico ed operativo? Questo si può condensare in poche parole: guardare al futuro; pensare al futuro; agire per il futuro. Ed il futuro iniziava per lui in ogni istante presente: per Tullio non era concepibile l’attesa. Di fronte ad ogni stimolo che gli sollecitasse un’azione, la proiezione in avanti del tempo iniziava immediatamente; l’azione non poteva aspettare.
Nei tanti anni trascorsi, Tullio è stato per me (e, ritengo, per tante altre persone) ben di più di un amico. Con lui, fin dall’infanzia e dalla giovinezza, ho condiviso una grande quantità di situazioni e problemi in seno all’ebraismo torinese e italiano: dalla scuola al Centro Giovanile Ebraico, alla FGEI, al Consiglio della Comunità, all’UCEI, alla nascita ed alla vita del Gruppo di Studi Ebraici e del periodico Ha-keillah, ai molteplici rapporti con istituzioni culturali e religiose.
Dobbiamo riconoscere a Tullio il merito ed il coraggio di aver operato per profondi cambiamenti in seno alla Comunità ebraica, per trasformarla da un ente burocratico e chiuso in se stesso, come l’abbiamo trovata quando eravamo giovani, spesso concepita solo come istituzione fiscale e di culto, ad un organismo dinamico, inserito attivamente nella vita culturale della città e vivacemente attento alle dinamiche del presente, alle scelte cittadine, alla diffusione dei valori ebraici, ai confronti inter-religiosi, ai rapporti con Israele, alla lotta contro l’antisemitismo. Ed inoltre, all’interno della Comunità, è sempre stato attivo il suo interesse nel promuovere e sostenere le iniziative dei giovani e quelle didattiche per giovani ed adulti.
Abbiamo affrontato momenti difficili, in cui la Comunità torinese si è trovata divisa su scelte fondamentali: sebbene non avessimo sempre condiviso le nostre posizioni nell’ambito metodologico e operativo, abbiamo sempre optato per il pieno rispetto e per la comprensione de reciproci atteggiamenti, nel comune orientamento ideologico, nella comune coscienza che la varietà delle idee e dei metodi costituisca di per sé un valore anziché un difetto, e nel tempo risulti vincente.
Adesso è un nostro dovere, di fronte a tanta attività, riguardare al passato, a quel grande ottimismo di Tullio che non si è mai arrestato ed occultato: ciò è doveroso non solo per alimentare facili riconoscimenti di meriti, ma per trarne l’esempio per nuove problematiche di oggi e di domani, per mantenere vivo un ebraismo torinese e italiano che tanto ci ha dato e tanto può ancora fornirci in futuro in un contesto che si presenta sempre più difficile.
Franco Segre
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Dal Giorno della Memoria al 17 Febbraio
Le numerosissime iniziative collegate a vario titolo al Giorno della Memoria si sono idealmente concluse con il 17 febbraio, anniversario della concessione dei diritti civili ai Valdesi. Potremmo chiederci quale sia il legame fra questi momenti del calendario civile. Presto detto: non a caso, la tradizionale riflessione presso la Casa Valdese è stata dedicata quest’anno al tema dell’avanzata del nuovo antisemitismo, e il giorno successivo, il 17, il Consiglio comunale ha indetto una manifestazione per condannare gli episodi antisemiti che hanno macchiato la nostra città e la nostra regione negli ultimi giorni. Il GDM, sempre di più, è accompagnato da grandi emozioni e grandi polemiche, impegnando la Comunità in modo significativo. Urge però una riflessione sul senso della giornata e del nostro coinvolgimento: al Cimitero, alla cerimonia presso la Lapide dei deportati, c’erano pochissimi membri della Comunità, tanto che non è stato possibile recitare un qaddish; poco dopo in Sala Rossa il Presidente del Consiglio comunale ha espresso preoccupazione, proprio nel GDM, per l’antisemitismo crescente e per la violazione dei diritti umani in Israele, quasi a sottintendere dei collegamenti logici perversi fra Shoà, antisemitismo e situazione mediorientale. Nell’ottica di un ripensamento delle cerimonie ufficiali del GDM, assieme al presidente Disegni, ho chiesto all’amministrazione comunale che venissero coinvolte direttamente le scuole della città. La scuola ebraica ha avuto l’onore di essere la prima ad intervenire in questa nuova veste. In quella occasione, al cimitero, tre alunni della nostra scuola sono intervenuti con un sentito discorso presso la Lapide dei deportati, ed il 17 febbraio in Piazza Palazzo di Città Mattia Terracina, della III media ha pronunciato le parole che riportiamo di seguito. Rav Ariel Di Porto
Buona sera a tutti,
saluto e ringrazio la Sindaca, i rappresentanti delle istituzioni e tutti voi che siete venuti qui per esprimere la condanna dei gravi gesti di intimidazione che si sono verificati negli ultimi giorni a Torino ed in altre località italiane e la solidarietà verso le vittime di insulti e minacce.
Mi ha colpito il fatto che qualche ignorante abbia osato sporcare con simboli nazisti proprio la casa di Lidia Rolfi, la staffetta partigiana, deportata a Ravensbrück quando non aveva ancora vent’anni, impegnata come testimone nella trasmissione della memoria a tanti ragazzi delle scuole. Io non l’ho conosciuta, ma mia mamma sì; fu Lei a raccontarle, proprio in quella casa, di guerra partigiana e dei lager, a prepararla per la visita al campo di Mauthausen negli anni del Liceo.
A Pomezia hanno fatto scritte antisemite davanti a due scuole; a pochi kilometri c’è Roma, il mio bisnonno paterno fu arrestato nel 1944 e si salvò miracolosamente dalla deportazione corrompendo un fascista con i pochi soldi che aveva in tasca mentre i suoi genitori finirono in campo di concentramento, ad Auschwitz.
A Torino hanno disegnato una Stella di Davide sulla casa di Marcello Segre. Il mio bisnonno e suo padre furono amici nella loro gioventù a Saluzzo e ora sono sepolti vicini nel cimitero ebraico.
Non è la prima volta che accadono atti antisemiti, ogni tanto succede.
Mio nonno mi ha raccontato che nel 1973, a Saluzzo, persone rimaste sconosciute entrarono di notte nel Cimitero Ebraico e spezzarono numerose lapidi. La guerra era finita da una generazione e a Saluzzo viveva solo più la nostra famiglia, mentre 29 cittadini saluzzesi, la maggior parte degli ebrei della città, erano stati deportati ad Auschwitz ed assassinati.
L’Amministrazione cittadina volle intervenire con generosità nella sostituzione delle lapidi “infrante da mano sacrilega ignara del definitivo rifiuto al ritorno di barbari tempi che ogni fede accomuna”.
La scritta incisa nel marmo è difficile, intende esprimere più concetti importanti.
A me sono rimaste impresse due parole: “definitivo rifiuto”, che possono essere assunte come slogan anche oggi per esprimere il significato di questa nostra manifestazione: la Repubblica Italiana rifiuta il razzismo, e questo rifiuto è definitivo, scritto nella Costituzione.
I fascisti credevano in una razza superiore a cui le altre dovevano inchinarsi.
Noi crediamo nell’assoluta uguaglianza di diritti e di doveri.
Il Fascismo privilegiava la religione cattolica su tutte le altre fedi.
Oggi, citando la Costituzione: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”.
Il Fascismo escluse gli studenti ebrei dalle scuole, licenziò gli insegnanti ebrei.
Oggi io posso scegliere se frequentare una scuola pubblica o una scuola paritaria, quella ebraica, che ha l’ebraico e l’ebraismo come elementi fondamentali, che ha un metodo di studio basato sulla discussione e posso confrontarmi con i miei compagni, ebrei e non ebrei.
Queste scritte sono un campanello d’allarme per tutti, non solo per gli ebrei. Il popolo ebraico è spesso il primo a subire l’intolleranza ma mai il solo ad esserne colpito. Puntualmente essa si espande a tutto il resto della società, come ci insegna la storia.
Ed è per questo che siamo qui, per reagire subito, facendo sparire le scritte, manifestando contro l’odio razzista e antisemita. Questa è la risposta a chi si nasconde nella notte, come un ladro, per rievocare vecchi spettri di cui non saremo mai di nuovo vittime.
Invece io oggi sono qui, a viso aperto, a ribadire che non ho paura, e che, come tutti voi,
credo in una sola cosa: nell’uguaglianza tra tutte le persone.
Mattia Terracina
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Un’etica della responsabilità ambientale
Negli ultimi anni, il mese di gennaio è divenuto sempre di più un mese dedicato al rapporto della comunità con la città e il mondo circostante, per via delle numerose iniziative collegate alle due giornate istituzionalizzate del 17 e del 27 gennaio, la giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo fra Cattolici ed Ebrei e il Giorno della memoria.
La visita del Vescovo del 15 gennaio ha fatto registrare una buona presenza di pubblico, principalmente esterno alla Comunità, segno di un interesse costante, se non crescente, rivolto al mondo ebraico. Altrettanto posso dire della mia visita del 16 a Cuneo, nella quale una sala gremita ha seguito con partecipazione una mia lezione introduttiva al Cantico dei Cantici.
Desidero ringraziare poi coloro che si sono adoperati rappresentando la comunità nei vari appuntamenti che si sono svolti in questi giorni praticamente in tutta la regione.
Un appuntamento interno degno di nota nel mese di febbraio è il tradizionale seder di Tu BiShvat, che si terrà domenica 9 febbraio 2020 nel pomeriggio. La collocazione oraria inusuale è dettata dal desiderio di coinvolgere al massimo i bambini della comunità.
Fra le ricorrenze del nostro calendario, Tu BiShvat è quella che tocca più direttamente un tema di strettissima attualità, quello della salvaguardia ambientale. Apparentemente la Torà sembra disinteressarsi dalla questione, affrontandola esplicitamente solo in tempo di guerra, quando proibisce la distruzione, durante l’assedio di una città, degli alberi da frutto. Come è noto tuttavia i chakhamim hanno esteso notevolmente il principio (bal taschit) riferendolo a numerose altre realtà ed applicandolo anche in tempo di pace, ponendo in tal modo la base per un’etica che preveda una responsabilità ambientale. Circa il motivo di questo ampliamento Rav Sacks ritiene che vi sia la ricerca di una corrispondenza con altri aspetti della halakhah e del pensiero ebraico. La Torà mostra interesse rispetto a quell’ambito che chiameremmo al giorno d’oggi sostenibilità. Il riposo dello Shabbat, dell’anno sabbatico e del giubileo intendono porre dei limiti al perseguimento sfrenato della crescita economica. Queste limitazioni ci rendono consapevoli di essere delle creature, oltre che dei creatori, e ci fanno comprendere che la terra non appartiene a noi. La Torà pone varie limitazioni nel nostro uso del mondo animale e vegetale. Fornendo una visione di insieme Hirsch sostiene che esiste una sorta di giustizia sociale che si estende dalle relazioni umane a queste realtà, come se facessero parte di un’unica grande famiglia. Adam è stato posto nel giardino dell’Eden per lavorarlo e custodirlo. I verbi usati sono significativi: l’uomo deve mettersi al servizio della natura, e non solo sfruttarla, e deve proteggerla, divenendo consapevole di non essere il padrone della terra, vigilando responsabilmente.
La valutazione dell’impatto che l’uomo può esercitare sul mondo circostante è una scoperta tutto sommato recente. L’approccio dei chakhamim dovrebbe guidarci nell’elaborazione delle strategie necessarie per affrontare questa pericolosissima situazione.
Rav Ariel Di Porto
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