70 anni dalla nascita di Israele

E’ passata una vita, settant’anni dalla Dichiarazione di indipendenza dello Stato d’Israele. Tante sono le sensazioni e le emozioni che in ciascuno di noi si affacciano, al pensiero di quante cose sono successe. Tanta è la gratitudine per coloro che alla costruzione di Israele hanno dedicato la propria vita e per coloro che l’hanno persa per difenderlo. In questi settant’anni Israele ha affrontato prove di ogni tipo. Nella sua storia, governata da esseri umani, non si può non intravedere un indirizzo divino. Se la votazione all’ONU del novembre 1947 che ha permesso la realizzazione di questa aspirazione millenaria del popolo ebraico si fosse tenuta oggi, il risultato sarebbe stato molto con molta probabilità differente. I recenti pronunciamenti dell’UNESCO sull’ebraicità di Gerusalemme, e le veementi reazioni da più parti all’annuncio statunitense di volere spostare l’ambasciata sono segnali da non sottovalutare. Israele è regolarmente uno dei paesi più sanzionati dagli organismi internazionali, che non mostrano però interesse nei confronti di tutto ciò che avviene intorno nella polveriera mediorentale, senza considerare la vivida concretezza della minaccia terroristica, cancro con il quale Israele si è confrontato e ha quasi del tutto superato, mettendo sul campo molte forze, facendosi carico scelte impopolari e soprattutto indifendibili agli occhi di molti europei, che non sono ancora riusciti ad inquadrare il problema, figuriamoci a trovare una soluzione. L’idea che la salvaguardia della vita dei propri cittadini e dei propri soldati, così come la difesa dei propri confini, siano una priorità per uno stato sovrano non incontra evidentemente approvazione dalle nostre parti. Le conseguenze sono devastanti. Il campo di battaglia negli ultimi anni si è spostato sensibilmente. Un certo tipo di contro-narrazione ha dilagato, mettendo sempre più in discussione la legittimità di Israele di fronte al consesso delle nazioni. Israele rappresenta a livello collettivo quello che l’ebreo ha rappresentato per il resto del mondo per due millenni. L’avanzata del movimento BDS nel mondo accademico, nei parlamenti e nei media ha consentito una falsificazione sistematica dei fatti. Con rammarico devo prendere atto del fatto che l’Università di Torino è in primissima fila in questo esercizio di disonestà intellettuale. Non intendo dire che non sia possibile criticare Israele per le sue scelte politiche, ma per formulare un giudizio, di qualsivoglia natura, è necessario poter disporre di dati per quanto possibile oggettivi, e questo oggi in Europa è sempre più difficile. I media, tranne rarissime eccezioni, non perdono l’occasione per rafforzare l’idea che in Israele avvenga una violazione continua dei diritti umani, senza tenere in considerazione quanto si verifica in maniera pressoché sistematica in molti paesi dell’area, nei quali l’esercizio delle libertà fondamentali è, a oggi, un miraggio che rischia di rimanere tale per molto, molto tempo. Gli ebrei della diaspora si trovano sempre in maggiore difficoltà nel sostenere Israele, senza considerare che la loro stessa incolumità è sempre più sistematicamente a rischio. Queste dinamiche ricordano tristemente quelle degli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale, quando gli americani nella conferenza di Evian del ’38 affermavano che il mondo si diceva preoccupato per gli ebrei, ma non era disposto a fare alcunché per aiutarli. Non si comprende tuttavia che il pericolo per gli ebrei europei costituisce una sfida mortale ai valori sui quali la nostra società è costruita. Nonostante tutte queste ombre, possiamo sperare di avere un futuro luminoso oltre ogni aspettativa. La società israeliana è una società giovane, plurale, dinamica, all’avanguardia in moltissimi campi. Le università israeliane competono ai massimi livelli, sfornando continuamente scoperte rivoluzionarie e innovazioni tecnologiche. La crescita demografica si attesta su livelli molto più alti di quelli del mondo occidentale. In 70 anni la popolazione ebraica è decuplicata, e si prevede che nel 2048 sfiorerà i 15 milioni. Gli ebrei in Israele prima della Shoah erano il 3% per dell’ebraismo mondiale, oggi il 45. Sono stati accolti quasi un milione di ebrei mediorientali, che non avevano più una casa, e un milione di ebrei russi. A breve la maggioranza degli ebrei del mondo vivranno in Israele. Raramente nella storia umana abbiamo assistito ad un ritorno di questa portata. Ma, dobbiamo ricordarlo, lo stato di Israele è oggi il centro di un corpo. C’è un anima da coltivare e far crescere. Israele deve essere sempre di più il promotore dei valori che ispirano la nostra tradizione. Israele è oggi, senza ombra di dubbio, il principale centro di studi ebraici, religiosi e secolari. Questo ha dato un impulso incredibile ad un processo che in due millenni di diaspora non era mai fiorito compiutamente. Rav Shraga Simmons ricorda che alcuni anni fa dei funzionari russi visitarono l’ospedale Alin di Gerusalemme, un polo di avanguardia per la riabilitazione dei disabili, con strutture per la fisioterapia, l’idroterapia, la logopedia e la consulenza psicologica. Uno dei rappresentanti russi chiese: perché sforzarsi tanto per dei bambini handicappati? Perché? Questo è il grande sforzo che Israele compie, si tratti degli orfani di Gerusalemme o un villaggio in Thailandia. Insegnare al mondo che cosa significa preoccuparsi e prendersi cura di ciascun singolo essere umano. Questo perché le parole che i nostri profeti, tanti secoli fa, hanno pronunciato, possano trovare il posto che compete loro nel mondo, senza aggressività, senza doppiezza alcuna. Non vogliamo essere un paese normale, come diceva Ben Gurion, con le sue prostitute e i suoi ladri. Israele non esiste solo per le sue spiagge, i suoi concerti, Wonder Woman. Non è questo il senso della nostra storia. Vogliamo, sempre di più, essere un’ispirazione per il mondo. Rav Ariel Di Porto maggio 2018 – yiar-sivan 5778

Nuovi ingressi in biblioteca

Aprile 2018

Sognando il cavalluccio marino / Lidia Maggioli ; [illustrazioni di Roberto Ballestracci]. – Rimini : Panozzo, 2018. – 101 p. : ill. ; 21 cm R.SHOMAGL.2018 La bugia che salvò il mondo / Nicoletta Bortolotti. – San Dorligo della Valle : Einaudi ragazzi, 2018. – 157 p. ; 20 cm R.SHO.BORN.2018 La famiglia F. / Anna Foa. – Bari ; Roma : Laterza, 2018. – VII, 174 p. : ill. ; 21 cm G.VI.202
L’olocausto : una nuova storia / Laurence Rees ; traduzione di Luigi Giacone. – Torino : Einaudi, 2018. – XIV, 547 p., [12] carte di tav. : ill. ; 23 cm – G.V.184
Ritorno a Berlino / Verna B. Carleton ; traduzione di Irene Abigail Piccinini. – Milano : Guanda,2017. – 339 p. ; 22 cm – G.VI.185
Gli ebrei nell’Italia medievale / Giacomo Tedeschini. – Roma : Carocci, 2018. – 267 p. ; 22 cm – G.VI.186
Vera religio : Marsilio Ficino e la tradizione ebraica / Guido Bartolucci. – Torino : Paideia, 2017- . 158 p. ; 24 cm – G.VI.183
Donne a Torino nel Novecento : un secolo di storie / Marcella Filippa. – Torino : Edizioni del Capricorno, 2017. – 159 p. : ill. ; 23 cm – G.VI.187
Il silenzio di Auschwitz : reticenze, negazioni, indicibilità e abusi di me. – moria / Enrico Mottinelli. – Cinisello Balsamo : San Paolo, 2018. – 356 p. ; 21 cm – G.VI.188
La dura memoria della shoah / a cura di Carmelo Botta e Francesca Lo Nigro ; contributi di Rosa Cuccia e Michelangelo Ingrassia. – Marsala : Navarra, 2017. – 173 p. ; 21 cm – G.VI.189
Bubelè : il bambino nell’ombra / Aldolphe Nysenholc ; con una prefazione di Moni Ivadia. – Trapani : Il Pozzo di Giacobbe, 2018. – 135 p. ; 21 cm – G.VI.190
Ebrei a Shanghai : storia dei rifugiati in fuga dal Terzo Reich / a cura di Elisa Giunipero ; prefazione di Paolo Salom. – Milano : ObarraO, 2018. – 89 p. ; 21 cm – G.VI.191
L’ ultimo discorso di Mosè / Micah Goodman ; traduzione di Rosanella Volponi. – Firenze : Giuntina, 2018. – 315 p: ; 20 cm – G.I.219
Vite agli angoli / Esty G. Hayim ; traduzione di Olga Dalia Padoa. – Viterbo : Stampa alternativa, 2017. – 414 p. ; 17 cm – G.I.220
Napoli, via Cappella Vecchia 31 : voci ebraiche da dietro al vicolo / Pierpaolo Pinhas Punturello. – Livorno : Salomone Belforte & C., 2018. – 99 p. ; 21 cm – G.VI.192
Preghiamo anche per i perfidi Giudei” : l’antisemitismo cattolico e la Shoah / Marino Ruzzenenti. – Roma : DeriveApprodi, 2018. – 246 p. ; 23 cm _G.VI.193
Sion : il Risorgimento ebraico come esegesi biblica attraverso le immagini dei poeti di Sion / Federico “Munda” Candiano. – Livorno : Belforte, 2018. – 372 p. ; 21 cm – G.VI.194
L’eternità del mondo in Mosè Maimonide e altri scritti, 1949-1996 / Ermenegildo Bertola ; a cura di Giacomo Petrarca ; prefazione di rav Giuseppe Laras. – Livorno : Belforte, 2018. – 412 p.; 21 cm – G.VI.195
1947 / Elisabeth Åsbrink ; traduzione di Alessandro Borini. – Milano : Iperborea, 2018. – 314 p. ; 20 cm – G.VI.198
Una scena nel ghetto di Venezia / Rainer Maria Rilke ; nota di lettura di Riccardo Calimani ; traduzione di Fabrizio Iodice. – Bologna : EDB, 2018. – 52 p. ; 17 cm – G.I.121
Il terzo tempio / Ishai Sarid ; traduzione di Alessandra Shomroni. – Firenze : Giuntina, 2018. – 244 p. ; 21 cm – G.VI.196
Oltre il mare di Haifa / Maria Elisabetta Ranghetti. – Brescia : Edikit, 2015. – 308 p. ; 21 cm – G.VI.199
Mario Castelnuovo-Tedesco : un fiorentino a Beverly Hills / Angelo Gilardino. – Milano : Curci ; [Roma] : CIDIM, Comitato nazionale italiano musica, 2018. – 271 p. : ill. ; 21 cm – G.VI.200
Spiagge di lusso : antisemitismo e razzismo in camicia nera nel territorio riminese / Lidia Maggioli, Antonio Mazzoni. – Rimini : Panozzo, 2017. – 286 p. : ill. ; 21 cm – G.VI.201
Il peso dell’inchiostro / Rachel Kadish ; traduzione di Alessandro Zabini. – Vicenza : Neri Pozza, 2018. – 701 p. ; 22 cm G.VI.203 La biblioteca di Ermanno Loevinson nell’Archivio di Stato di Roma / Serena Dainotto. – Bologna, 2016. – P. 37-71 ; 21 cm. ((Estr. da: Atti e memorie Deputazione storia patria Romagne, 2016, v. 66 G.VI.204 Luoghi della memoria a Milano : itinerari nella città Medaglia d’oro della Resistenza / a cura di S. – Milano : Guerini e associati, 2015. – 168 p., [4] carte di tav. : ill. ; 21 cm G.V.249 Hitler non è mai esistito : un memorabile oblio / Furio Colombo, Vittorio Pavoncello. – Torino : Celid, 2018. – 127 p. ; 21 cm G.V.250  

A pane e acqua

Parliamo questa sera del rapporto fra cibi e bevande. E’ noto che non basta assumere cibo: occorre anche accompagnarlo con l’acqua. L’acqua non nutre (per questo motivo la Halakhah la esclude dagli alimenti con cui è lecito compiere l’Eruv, che devono essere appunto mazòn, nutrimento), ma aiuta la digestione in tutte le sue fasi e ci rifornisce di sali minerali, indispensabili per il nostro sostentamento. La Torah sostiene questa visione. I Chakhamim affermano che shetiyyah bi-khlal akhilah, “la bevuta è halakhicamente parte della mangiata”: ne consegue per esempio che, a differenza di altre religioni che permettono ai digiunanti di bere, da noi il digiuno riguarda sia mangiare che bere. D’altronde un’opinione sostiene che per poter recitare la Birkat ha-Mazon secondo l’obbligo più completo della Torah non basta aver mangiato pane: occorre anche averlo accompagnato con l’acqua. C’è un versetto della Parashah odierna che richiede qualche precisazione in proposito: “E servirete H. D. vostro ed Egli benedirà il vostro pane e la vostra acqua” (Shemot 23,25). Notiamo come il versetto cominci al plurale e prosegua al singolare. Il servizio Divino di cui parla è la Tefillah e in particolare lo Shemoneh ‘Esreh, che rappresenta il centro delle nostre preghiere quotidiane. Il versetto afferma che la Tefillah è strumento per avere la nostra Parnassah quotidiana. Nei giorni feriali preghiamo tre volte al giorno recitando diciannove Berakhot ogni volta: Shachrit, Minchah e ‘Arvit. 19×3=57. 57 è il valore numerico della parola Dagàn che significa “grano”, con cui si fa il pane. Inoltre 57 è anche il valore numerico della parola zàn, “che nutre”, che troviamo al termine della prima Berakhah della Birkat ha-Mazòn (ha-zàn et ha-kol) che recitiamo proprio dopo aver mangiato pane. Ecco che la prima benedizione del versetto, quella riferita al pane, si realizza mediante la recitazione della ‘Amidah individuale tre volte al giorno. Il nutrimento, la parte cibo, è così coperta. Ma non basta. Accanto alla preghiera individuale non è meno importante la Tefillah collettiva. Essa consiste, come è noto, nella ripetizione della ‘Amidah di Shachrit e Minchah da parte del Chazan. Per ragioni che ora non spiegheremo, ‘Arvit non viene ripetuta. Per chi partecipa alla Tefillah pubblica, le ‘Amidot giornaliere diventano dunque cinque. 19×5=95 ed è il valore numerico di ha-mayim, “l’acqua”. Ecco il riferimento alla seconda benedizione del versetto. Essa è condizionata alla nostra partecipazione alla Tefillah pubblica. L’acqua sta al pasto come la Tefillah pubblica sta a quella individuale. In teoria la Tefillah individuale potrebbe bastarci, così come uno può decidere di rinunciare a bere durante il pasto. Egli si nutre lo stesso mangiando. In realtà verrebbero a mancargli i sali minerali che l’acqua fornisce e digerirebbe in modo più difficoltoso. Analogamente chi prega privatamente ma si astiene dal partecipare alla Tefillah pubblica perde gran parte della propria esperienza. I nostri Maestri richiamano l’espressione: be-rov ‘am hadrat melekh. Letteralmente significa: “Se c’è moltitudine di popolo, il Re è onorato”. Ma se leggiamo hadrat in aramaico anziché in ebraico, può essere tradotta: “Se c’è moltitudine di popolo, il Re torna” sulla propria decisione. Solo la Tefillah pubblica ha la forza di far recedere H. da eventuali condanne già pronunciate contro di noi. Quattro sono i motivi per i quali la nostra Tefillah non sempre viene accolta. 1) H. ci può dire: “Ciò che chiedi ti fa male”. In tal caso è difficile che la forma pubblica della preghiera possa esserci di beneficio. 2) La seconda eventualità è che H. ci dica semplicemente: “Provvederò a te più tardi. Ora non è il momento”. Se ci presentiamo con una class action, sappiamo bene che l’Ufficio cui ci rivolgiamo, messo sotto pressione collettiva, potrebbe cambiare idea e accorciare i tempi. 3) La terza evenienza è che H. ci dica: “Non te lo meriti”. Anche in questo caso, se ci presentiamo in gruppo i difetti di uno saranno compensati dai pregi di un altro e la chance che la nostra richiesta sia accolta cresce notevolmente. 4) Infine H. potrebbe dirci, come un buon padre: “Se compero il gelato a te, sarei ingiusto verso tutti i tuoi fratelli che non sono qui e non lo ricevono”. Cosa si fa in questo caso? Si va dal Padre insieme a tutti i nostri fratelli! Che H. ci aiuti a partecipare sempre alla Tefillah nel Bet ha-Kenesset wimallè kol mish’alot libbenu le-tovah.
È permesso mettere un recipiente pieno di acqua o di un altro liquido freddo in vicinanza di una fonte di calore per stiepidirlo. E’ indispensabile però che il liquido si trovi ad una distanza tale da non potere scaldarsi tanto da raggiungere una temperatura di 40-45° (a seconda delle opinioni), anche se ciò si verificherebbe lasciandolo per un tempo superiore a quello effettivo. Infatti i Maestri hanno decretato di non lasciare il recipiente in vicinanza di una fonte di calore che possa portare il liquido alla temperatura proibita, anche se si intende lasciare il recipiente solo per poco tempo, dal momento che ci si potrebbe dimenticare, e trascorrendo ulteriore tempo potrebbe scaldarsi eccessivamente. Per questo è necessario fare molta attenzione, senza fare calcoli affrettati.
Qual è il principale problema di un homeless? Non essere in grado di osservare la Mitzwah della Mezuzah e del Ma’aqeh (il parapetto sul tetto), perché non ha una casa. I nostri Maestri insegnano che i beni materiali ci vengono forniti affinché possiamo osservare le Mitzwòt ad essi legate. Questo deve essere sempre il nostro primo pensiero. Quando acquistiamo una casa nuova dobbiamo anzitutto pensare all’opportunità che ci viene data di collocarvi la Mezuzah. Quando comperiamo un vestito nuovo pensiamo all’occasione di mettervi lo Tzitzit (sempre che abbia quattro angoli). Se prendiamo un nuovo campo pensiamo alle Mattenot ‘Aniyim che la Torah prescrive di dare sul prodotto. Solo in un secondo momento potremo unire al pensiero “sacro” quello del godimento “profano”, come se fosse una Tossefet me-chol ‘al ha-qodesh. Questo ci consente di comprendere meglio il primo Rashì della Parashat Mishpatim. Se fosse stato scritto Elleh ha-Mishpatim ciò che segue rinnegherebbe ciò che precede, ovvero i Dieci Comandamenti. Ma dal momento che la Parashah comincia con We-elleh ha-Mishpatim, la waw ha-chibbur unisce ciò che segue a ciò che abbiamo letto la scorsa settimana in un unicum ideale: come i Dieci Comandamenti sono stati dati sul Sinai, così gli argomenti di oggi sono stati trattati sul Sinai. Ecco che la nostra Parashah che si occupa di tante piccole questioni materiali che riguardano buoi, asini, custodia di oggetti, ecc. trae la sua ispirazione e si pone sullo stesso piano dei Dieci Comandamenti dati sul Monte Sinai. Rashì continua spiegando che il Bet Din che dirime queste controversie doveva avere sede presso l’Altare, alla cui costruzione erano dedicati gli ultimi versi della Parashah scorsa. Sappiamo in effetti che il Sanhedrin aveva sede nella Lishkat ha-Gazit del Bet ha-Miqdash, ma non esattamente presso l’Altare. L’accostamento non è geografico, ma ideale. Si vuol dire piuttosto che anche il più terreno degli interessi ha una sua natura religiosa e come tale deve essere affrontato. Nel seguito della Paraashah è scritto: “Non ritardare la consegna delle decime. Dàmmi il primogenito dei tuoi figli” (22,28). Può essere interpretato allegoricamente: Nel raccogliere i prodotti del campo metti il tuo primo pensiero per Me senza indugio. Il primo pensiero (bekhor) di ogni tuo progetto (banim, “figli” come bonim, “costruttori”) deve essere dato a Me, ovvero alle Mitzwòt che comporta. Solo allora “così farai al tuo bue e al tuo gregge” (v. 29), cioè solo allora potrai fare concessioni all’animalità e alla materialità che è in te. Infine, il Passuq conclude dicendo: “per sette giorni (l’animale neonato) starà con sua madre e nell’ottavo me lo potrai offrire in sacrificio”. Non mi soffermerò sul significato del numero otto, che rappresenta il soprannaturale rispetto al sette, numero della natura (Maharal di Praga). Dirò soltanto che c’è un’altra Mitzwah simile a questa che riguarda non gli animali ma gli uomini: il Berit Milah. C’è però una differenza: mentre per gli animali il sacrificio all’ottavo giorno è una semplice facoltà, la Milah dell’essere umano all’ottavo giorno è un obbligo. Il regno animale non conosce il concetto di obbligo, ma solo quello di desiderio. L’obbligo caratterizza invece gli uomini, dotati della capacità di assumersi responsabilità. E’ quello che l’obbligo della Milah ci insegna. Fin dall’ottavo giorno.

Cartoons on the bay

LA MOSTRA “1938 –2018 Ottant’anni dalle leggi razziali in Italia. Il mondo del fumetto e dell’animazione ricordano l’orrore dell’antisemitismo” La mostra raccoglierà opere originali e inedite di molti tra i più grandi autori e maestri dell’animazione e del fumetto, proponendosi come la più grande iniziativa mai realizzata in tal senso. Il linguaggio dei cartoon, del fumetto e l’arte del disegno sono posti al servizio di un racconto importante, quello della memoria. L’obiettivo del progetto è la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e in primo piano dei più giovani che vivono un contesto contemporaneo multiculturale. La mostra, inaugurata il 12 aprile 2018 durante la prima giornata di lavori del Festival Cartoons on the Bay, presso il Museo del carcere Le Nuove di Torino, sarà aperta fino al 1 giugno

Locandina: MOSTRA COTB 2018

Pian del Lot

Il 4 aprile si è svolta al Pian del Lot, nella collina torinese, la commemorazione dei 27 giovani barbaramente trucidati dai nazisti il 2 aprile 1944 come rappresaglia per l’uccisione di un militare tedesco.
Alla manifestazione sono intervenuti la Sindaca della Città di Torino, Chiara Appendino, il Vice Presidente del Consiglio Regionale del Piemonte, Nino Boeti, il Presidente della Comunità, Dario Disegni. Presenti rappresentanti delle Forze Armate, delle associazioni partigiane, cittadini e studenti delle scuole torinesi.
Dopo la recita di una preghiera cattolica e dell’Izkor, da parte di Rav Ariel Di Porto, in memoria del giovane partigiano ebreo Walter Rossi z.l., il nipote di uno dei martiri, Aldo Gastaldi, ha ricordato con commoventi parole la vicenda del proprio congiunto. L’orazione ufficiale è stata affidata a Sante Bajardi, partigiano che ha poi ricoperto importanti incarichi nelle Amministrazioni della Città, della Provincia e della Regione.
Di seguito il link al discorso del Presidente della Comunità, Dario Disegni:

Seder ‘Giovani’

Sabato 31 marzo, seconda sera di Pesach, si è tenuto al Centro Sociale in Comunità il tradizionale Seder dei Giovani. Con una grossa novità, che di giovani ce n’erano davvero tanti! Hanno partecipato diverse famiglie, alcune rientrate da Israele per l’occasione, con bimbi da pochi mesi a dodici anni (per la precisione 19 bimbi),  oltre ad una decina di giovani. In tutto, quasi cento persone presenti. La partecipazione attiva è stata molta: bimbi e ragazzi hanno letto con trasporto, hanno cantato con la maestra Claudia R. e il Seder è stato magistralmente condotto da rav Di Porto. Soddisfatti anche i partecipanti meno giovani: posso dire, a titolo strettamente personale, che sia stato un Seder fra i più belli della mia vita! Danila Franco Torino, 2 aprile 2018 – 17 Nissan 5778