La parashah di Yitrò contiene i dieci comandamenti e dei principi generali, con la parashah di Mishpatim la Torah inizia a sviluppare i particolari. L’apertura di questa sequela di mitzwot è dedicata allo schiavo ebreo. Lo schiavo manterrà questa condizione per sei anni, e al settimo sarà liberato. Se tuttavia, per amore del padrone, di sua moglie e dei suoi figli, rinuncia alla propria libertà, verrà condotto davanti ai giudici e gli verrà forato l’orecchio. Perché, visto che ci sono 613 mitzwot nella Torah, iniziare da qui un codice di leggi? La risposta è ovvia. Il popolo ebraico è appena uscito dalla schiavitù egiziana. Tutto questo deve avere una ragione, e H. sapeva che sarebbe avvenuto, come aveva predetto ad Avraham nel berit ben ha-betarim nel libro di Bereshit. Era evidentemente necessario che questa fosse la prima esperienza collettiva del popolo ebraico. D. ha sempre ricercato, sin dagli albori, la libera adorazione degli esseri umani, ma questi hanno abusato della libertà concessa. Adamo ed Eva, Caino, la generazione del diluvio, quella della torre di Babele sono incappati tutti nello stesso errore. Era inevitabile ricominciare, questa volta non con tutta l’umanità, ma con una famiglia. Sarebbero divenuti i pionieri della libertà, ma la libertà è difficile. Ognuno desidera e cerca la propria libertà, ma è disposto a negare la libertà altrui quando questa confligge con la nostra. Ciò è talmente tanto vero che in appena tre generazioni i pronipoti di Abramo sono disposti a vendere il proprio fratello come schiavo. La tragedia non finisce sino a quando Yehudah si dichiarò pronto a rinunciare alla propria libertà per mettere in salvo il fratello Byniamin. E’ necessaria l’esperienza collettiva della schiavitù egiziana, che il popolo ebraico non dovrà dimenticare mai, per forgiare un popolo che non avrebbe più trasformato in schiavi i propri fratelli, un popolo capace di costruire una società libera, la più dura conquista per l’umanità. Non ci dobbiamo pertanto stupire che le leggi sulla schiavitù abbiano una posizione enfatica. Ci saremmo dovuti anzi meravigliare del contrario. Ma, se D. non vuole la schiavitù, se la considera un affronto alla condizione umana, perché non abolirla immediatamente? Perché ha consentito che la schiavizzazione, anche se limitatamente e con molti paletti, proseguisse? Il Signore, che può operare miracoli inenarrabili nell’ambito naturale, non può cambiare la natura umana? In certi contesti è onnipotente ed in altri è, se è possibile dirlo, impotente? La libertà non è facile. Negli studi sociali è una tematica molto affrontata. Per essere liberi è necessario che non vi sia un surplus di leggi, di modo tale da permettere agli individui di scegliere liberamente, ma le persone non fanno sempre la scelta giusta. Il modello economico tradizionale, secondo cui le persone, se lasciate libere di scegliere, si comporteranno razionalmente, è superato. Gli uomini sono anzi profondamente irrazionali. Gli studiosi ebrei hanno dato importanti contributi per affermare questa idea. Ad esempio siamo influenzati dal desiderio di conformarci, anche quando sappiamo che gli altri stanno sbagliando. Anche in ambito economico spesso si calcolano male gli effetti, e a volte non è possibile riuscire a determinare le nostre motivazioni. Come fare allora? Come si possono evitare danni salvaguardando la libertà di scelta? E’ possibile influenzare la volontà delle persone anche obliquamente. Per esempio in un bar, se vogliamo che le persone abbiano un’alimentazione sana, si potranno mettere i cibi sani all’altezza degli occhi, ed il cibo spazzatura in luoghi meno accessibili. In questo modo è possibile regolare la cosiddetta architettura di scelta delle persone. Questo è quello che avviene per la schiavitù. D. non la abolisce, ma la circoscrive così tanto da avviare un processo che prevedibilmente, anche se ci vorranno molti secoli, condurrà al suo spontaneo abbandono. Per via delle limitazioni che la Torah impone, la schiavitù diviene una condizione temporanea dell’uomo, che viene vissuta come un’umiliazione, piuttosto che un destino ineluttabile scritto nella natura umana. Perché questa strategia? Perché gli uomini devono decidere liberamente se abolire la schiavitù. Costringere le persone ad essere libere è sbagliato. Il presupposto di Rousseau nel Contratto sociale ha portato in breve tempo al regno del terrore. D. può modificare la natura, ma sceglie di non cambiare la natura umana. L’ebraismo è fondato sul principio della libertà umana. Per questo D. non abolisce la schiavitù, ma attraverso le indicazioni della Torah modifica la nostra architettura di scelta mostrandoci la strada. Per abolirla coscientemente ci vorrà del tempo, in America è servita una sanguinosa guerra civile, ma è successo. A volte D. ci dà una indicazione. Il resto spetta a noi.

La libertà va conquistata (da una derashah di Rav Sacks)

La storia di Pesach è una narrazione molto antica e grandiosa, che narra di come un popolo abbia sperimentato l’oppressione e sia stato condotto alla libertà, dopo un lungo viaggio attraverso il deserto. Questa storia è stata fonte di ispirazione per molti nel mondo occidentale. Durante il Seder di Pesach leggiamo il famoso insegnamento, riportato a nome di R. Gamliel, secondo il quale chi non parlava del qorban Pesach, della matzah e del Maror non aveva adempiuto al proprio obbligo. Il motivo per cui sono stati decisi questi elementi è evidente: il sacrificio pasquale rappresenta la libertà, le erbe amare, per via del loro sapore, rappresentano la schiavitù. Il pane azzimo combina i significati. Era il pane che i nostri padri mangiavano in Egitto, quando erano schiavi, è il pane che mangiarono quando uscirono dall’Egitto da uomini liberi. Non solo il simbolismo, ma anche l’ordine in cui gli elementi compaiono è interessante. E’ strano che i simboli della libertà precedano quelli della schiavitù. Ci saremmo di certo aspettati il contrario. La risposta che viene data è che la schiavitù è veramente amara solo per chi conosce la libertà. Chi dimentica la libertà, prima o poi si abituerà alla schiavitù. Non c’è peggior esilio della dimenticanza di essere in esilio. Per comprendere la libertà, dobbiamo capire anzitutto che significa non essere liberi. La stessa libertà, come è noto, ha varie dimensioni, che sono riflesse in ebraico da due diversi termini, chofesh e cherut, “libertà da” e “libertà di”. La prima è la libertà che uno schiavo acquisisce quando viene liberato. Non si è più soggetti alla volontà di qualcun altro. Ma questa libertà non è sufficiente per costruire una società libera. Un mondo in cui ciascuno può fare quello che vuole sfocia facilmente nell’anarchia e poi nella tirannide. Questa liberazione è solo l’inizio della libertà, non la sua destinazione finale. Il secondo tipo di libertà è la libertà collettiva, in cui la mia libertà rispetta la tua. Una società libera è una conquista di carattere morale, alla quale la Torah tende. Esercizio della giustizia e della compassione, nel riconoscimento della sovranità di D. e dell’integrità del creato. Il messaggio di Pesach è potente ancora oggi: il predominio del diritto sul potere; l’idea che la giustizia appartiene a tutti, non a qualcuno; l’uguaglianza di tutti gli esseri umani sotto D. Ci vollero molti secoli perché questa visione venisse condivisa dalle democrazie occidentali, e, nostro malgrado, non ci sono garanzie che rimarrà così. La libertà è una conquista morale, e se non c’è uno sforzo educativo continuo, si atrofizza. Questi messaggi, che risalgono ad alcune migliaia di anni fa, sono oggi più che mai attuali.

Pesach kasher wesameach a voi e ai vostri cari.

Rav Ariel Di Porto

aprile 2018 – nissan-yiar 5778

Il 23 marzo 2018 si è tenuta a Torino la consueta marcia in ricordo di Emanuele Artom, giovane partigiano ebreo che venne ucciso dai nazifascisti. Partenza dalla Stazione di Porta Nuova, lapide ai deportati presso il binario 17 e conclusione in Piazzetta Primo Levi. A conclusione della Marcia, in piazzetta Primo Levi,  gli interventi delle Autorità, di studenti sia delle nostre scuole che di quelle torinesi seguiti da un momento musicale. “Gli ottant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali”  era il tema al centro della riflessione collettiva di quest’anno, quale emerge dai Diari di Emanuele Artom. Quest’anno ha anche dato il via ad una serie di appuntamenti, che proseguiranno fino al 2019, per ricordare la promulgazione delle leggi razziali in Italia. L’intervista audioDario Disegni, presidente della Comunità Ebraica di Torino, trasmesso su Radio Beckwith. L’intervista video a Dario Disegni, presidente della Comunità Ebraica di Torino, trasmesso su La Stampa:  intervistata da Maria Teresa Martinengo, video Dario Nazzaro (Reporters).      

Orecchie di Amman – osnei Amman – dolce ebraico di Purim

Orecchie di Amman
 

La ricetta delle orecchie di Amman

INGREDIENTI Ingredienti per 20 orecchie di Amman:
Orecchie di Amman

Orecchie di Amman

  • 2 uova
  • 125 gr di zucchero
  • 65 ml di olio
  • 250 gr di farina
  • 1 cucchiaino di lievito in polvere
  • Marmellata di fichi (o a piacimento)
  • Un cucchiaiono di semi di papavero
PREPARAZIONE Rompete le uova dentro una ciotola e sbattetele con lo zucchero. Aggiungete poi poco a poco la farina, l’olio, i semi di papavero ed alla fine il lievito. Impastate il tutto fino ad ottenere una pasta liscia e soda. Stendete poi la pasta così ottenuta con un mattarello, senza assottigliarla troppo Fate a questo punto dei dischetti (diametro 10 cm circa), mettete al centro un poco di marmellata e chiudete i lati pinzando bene gli angoli in modo da ottenere un triangolo. Pinzate molto bene gli angoli, perchè in cottura le orecchie di Amman tendono ad aprirsi. Infornate del forno preriscaldato a 180° su una teglia con la carta da forno e fate cuocere per 20 minuti, controllando quando saranno dorate. Servitele calde o fatele raffreddare e regalatele le orecchie di Amman ai vostri amici per Purim! P.S. Non è facilissimo farle. Non scoraggiatevi se qualcuna si aprirà un pò o verrà di una forma strana. Saranno buonissime 🙂 Vi auguro quindi buona festa, Purim sameach!

Conservazione del Tempio Grande di Torino

Cari amici, come molti di Voi sapranno, il nostro Bet Hakeneset necessita di un’importante opera di ripristino e restauro conservativo. Assumono particolare carattere di urgenza la sistemazione delle parti ornamentali della facciata e delle torri, nonché la revisione delle coperture. Dato l’ingente impegno che tali lavori comportano, ed in virtù della fondamentale importanza che gli stessi rivestono per il futuro delle nostre attività cultuali, si rivolge un invito a voler sostenere la Comunità in un momento di particolare necessità economica. Chi volesse contribuire supportando il progetto potrà effettuare un’erogazione liberale a favore di Piemonte Ebraico Onlus, che ha già iniziato una raccolta fondi destinata a tale scopo. Per avere una visione completa degli interventi è possibile consultare Fundraising per la Conservazione del Tempio Grande di Torino. Il Consiglio della Comunità è a completa disposizione per fornire tutti i dettagli sui lavori e sulle spese previste. Di seguito le coordinate bancarie per le erogazioni liberali.  Per visualizzare i vantaggi fiscali.
Beneficiario: PIEMONTE EBRAICO O.N.L.U.S.
Indirizzo:    Piazzetta Primo Levi, 12, 10125 Torino TO
IBAN:         IT97 Z033 5901 6001 0000 0015 740
Banca:        BANCA PROSSIMA
BIC/SWIFT:    BCITITMXXXX
Causale:      Fondo Conservazione Tempio Grande

Estero

Stiamo  avviando una Campagna di Fundraising anche all’estero.   Abbiamo bisogno di volontari per partecipare a questo progetto, ed in particolare persone che contattino dei loro amici, parenti e conoscenti all’estero contando sulla loro disponibilità.
Per informazioni ed istruzioni per favore contattare Daniel Fantoni  o altri membri del Consiglio.

Nuovi ingressi in biblioteca

Marzo 2018

Le reti dei nuovi antisemiti : dai grillini all’Islam politico : l’ossessione contro Israele, i pre. – Milano : Il Giornale, 2017. – 50 p. ; 19 cm. G.I.217 Micol : Romanzo / Waltraud Mittich ; traduzione dal tedesco di Giovanna Ianeselli e Stefano Zangrando. – Merano : Alphabeta, 2017. – 123 p. ; 21 cm. G.V.235
Siamo qui, siamo vivi : il diario inedito di Alfredo Sarano e della famiglia scampati alla shoah / a cura di Roberto Mazzoli ; prefazione di Liliana Segre. – Cinisello Balsamo : San Paolo, 2017. – 189 p., [4] carte di tav. : ill. ; 22 cm
Les seins d’aziza : mytes et réalités du conflit au proche orient / Youssef El Masri. – [Nizza : imprimer Simon, 2013]. – 221 p. : ill ; 21 cm
Himmo re di Gerusalemme / Yoram Kaniuk ; traduzione di Elena Lowenthal. – Firenze : Giuntina, 2017 (stampa 2018). – 155 p. ; 21 cm
Cronaca a due voci : storie, vicende, persecuzioni di una famiglia ebraica (1938-1945) / a cura di Lionella Neppi Modona Viterbo ; presentazione Caterina Del Vivo. – Firenze : Aska edizioni, 2017. – 103 p. : ill. ; 24 cm. G.V.238
Il bene possibile : essere giusti nel proprio tempo / Gabriele Nissim. – Milano : UTET, 2018. – 178 p. ; 22 cm G.V.239
Isaiah Berlin : la vita e il pensiero / Alessandro Della Casa. – Soveria Mannelli : Rubbettino, 2018. – 337 p. ; 23 cm. G.V.240
La religione dominante : Voltaire e le implicazione politiche della teocrazia ebraica / Antonio Gurrado. – Soveria Mannelli : Rubbettino, 2018. – 177 p. ; 23 cm. G.V.241
La Torà dei commentatori : commenti sulle Parashòt e sulle feste / Donato Grosser. – Morasha : Milano, 2018. – 384 p. ; 21 cm. – G.V.242
L’ ebreo venuto dalla nebbia : Venezia e Roma: due storie di ghetti / Mauri, Andrea. – Viterbo : Alter ego, 2017. – 114 p. ; 18 cm – G.I.128
Sei campi / Zdenka Fantlovà : traduzione di Ilaria Katerinov. – Milano : Tre60, 2018. – 303 p., [8] p. di tav. : ill. ; 21 cm – G.VI.182
La ragazza che non conosceva Shakespeare / Umberto Marino. – Villaricca : Cento Autori, 2017. – 186 p. ; 20 cm. – G.V.247
La notte della rabbia / Roberto Riccardi. – Torino : Einaudi, 2017. – 317 p. ; 22 cm. – G.V.246
Il tuo nome è una promessa / Anilda Ibrahimi. – Torino : Einaudi, 2017. – 230 p. ; 22 cm – G.V.245
Selva oscura / Nicole Krauss ; traduzione di Federica Oddera. – Milano : Guanda, 2018. – 323 p. ; 22 cm G.VI.181 Una cena al centro della terra / Nathan Englander ; traduzione di Silvia Pareschi. – Torino : Einaudi, 2018. – 238 p. ; 23 cm G.V.248 Dovrei proteggerti da tutto questo : un memoir / Nadja Spiegelman ; traduzione di Tiziana Lo Porto. – Firenze : Clichy, 2017. – 431 p. ; 20 cm G.V.244 La terra sotto i piedi / Anna Vivarelli. – Milano : Piemme, 2018. – 142 p. : ill. ; 21 cm. R.NAR.VIVA.2018  La storia di Hurbinek. – [Perosa Argentia] : LAR, 2017. – 56 p. : ill ; 17 x 24 cm. ((Titolo della copertina. – Sulla copertina: Scuola Primaria Statale “Hurbinek” Pinasca V.SHO.HURB.2017
Sono numerosi gli spunti emersi pochi giorni fa durante la presentazione, al Centro sociale della Comunità ebraica di Torino, del volume di rav Jonathan Sacks “Non nel nome di Dio. Confrontarsi con la violenza religiosa”, pubblicato da Giuntina. Tra questi spiccano le idee di identificazione monolitica e, per converso, di identità multiple, a proposito delle quali Elisabetta Triola ha sottolineato la vicinanza dell’impostazione di rav Sacks con quella delineata da Amartya Sen in “Identità e violenza” (Laterza). Secondo quest’ultimo va riconosciuta la pluralità delle identità di ciascun individuo, perché ognuno di noi appartiene contemporaneamente a molti gruppi diversi. È inevitabile, d’altronde, che proprio dal concetto di identità si originino i due atteggiamenti alternativi e complementari di inclusione ed esclusione. In altre parole, la forte coesione identitaria in un certo gruppo significa tendenzialmente aumentare la distanza da chi di quel gruppo non fa parte e, allo stesso tempo, l’innalzamento delle barriere che separano da un esterno porta a un rafforzamento dei legami interni. È inoltre evidente che le identità di un medesimo individuo non si escludano a vicenda, e che possano tranquillamente convivere: tanto per fare un esempio, si può essere ebrei, vegani, matematici e tifosi della Juventus. La violenza identitaria, quella stessa che da anni occupa le prime pagine dei giornali, nasce quando si afferma l’idea di appartenere a una sola collettività. Solo come ebrei, come musulmani, come vegani eccetera. E, ancora più pericolosamente, quando l’idea di appartenenza monolitica viene applicata dall’esterno a un Altro, a cui si attribuisce allora il carattere di nemico non in base alle sue scelte o idee, ma alla rappresentazione identitaria che di lui abbiamo costruito. Questo approccio, a mio modo di vedere convincente, come è ovvio non è unanimemente condiviso. Mi sembra però imprescindibile partire da qui per cercare di capire tanti fenomeni contemporanei: non solo quelli eclatanti come il terrorismo islamista o il razzismo diffuso negli ambienti di destra più o meno estrema, ma anche tendenze significative che riguardano il mondo ebraico e le nostre comunità. Giorgio Berruto, Hatikwà

Convegno religione e democrazia

A 170 anni dallo Statuto albertino, a 80 dalle leggi razziali

Il 2018 è un anno particolare in quanto ricorrono i 170 anni della firma dello Statuto da parte del re Carlo Alberto (1848) e, con esso, della concessione dei diritti civili ai Valdesi e agli Ebrei; ma, d’altra parte, ricorrono anche gli 80 anni delle famigerate leggi razziali che il regime fascista promulgò nel 1938, dando inizio così alle persecuzioni che culminarono con i grandi rastrellamenti del 1943. Sono due date su cui occorre riflettere perché, unitamente al fatto che da oltre vent’anni giace in Parlamento una nuova legge sulla libertà religiosa, danno il senso di come nel nostro Paese la libera espressione della fede e del culto sia sempre molto fragile. Il 16 febbraio 2018 si è tenuto il convegno. La registrazione è disponibile:

Depliant_convegno RELIGIONE E DEMOCRAZIA