Fratelli umani udite
Pubblichiamo il testo dell’introduzione di Fabio Levi, Presidente del Centro Internazionale di Studi Primo Levi, alla scelta dei tre testi di Primo Levi sul tema della famiglia che sono stati letti dall’attrice Irene Paloma Jona il 15 settembre nell’ambito della Giornata Europea della Cultura Ebraica.
Vorrei iniziare precisando da quali testi sono tratti i brani che Irene Paloma Jona vi leggerà subito dopo questa mia breve introduzione. Il primo è La mia casa, pubblicato in “AD Architectural Digest” nel 1982 e raccolto poi ne L’altrui mestiere uscito tre anni dopo. Il secondo è la versione definitiva di Argon, primo degli scritti che compongono Il sistema periodico pubblicato nel 1975. Il terzo è una poesia, Nel principio, compresa nella raccolta L’osteria di Brema del ’75 e poi riproposta in Ad ora incerta del 1984. Testi dunque di intonazione diversa: per cominciare quello che potremmo definire un elzeviro, poi un racconto di ampio respiro storico e infine un componimento poetico di sapore biblico.
In tutti i tre casi il tema della famiglia emerge in modo non proprio diretto, esplicito, ma da notazioni di luogo, di tempo, da avvenimenti e da personaggi particolari, che aprono ogni volta prospettive originali e molto diverse fra loro, sollevando interrogativi di non poca importanza.
La mia casa descrive l’abitazione di corso Re Umberto, a Torino, in cui Levi è vissuto sin dalla nascita e poi con la moglie e i figli per tutta la vita, seppure con alcune “involontarie interruzioni”: un luogo capace di soddisfare i “bisogni primari: spazio, calore, comodità, silenzio, privatezza” e con cui lo scrittore dice di aver mantenuto un rapporto “inavvertito, ma profondo, come si ha con le persone con cui si è convissuto a lungo”, prime fra tutte quelle di famiglia.
Quel rapporto, con la casa e con chi vi abita, è quasi impalpabile perché è fatto di gesti ripetuti tante volte in momenti e condizioni differenti, e proprio per questo pieni di significato. Gesti vissuti intensamente, ma che è difficile e non ha gran senso raccontare ad altri; se non in casi eccezionali, quasi per necessità, come ad esempio nella poesia 12 luglio 1980 indirizzata alla moglie Lucia in occasione del suo cinquantesimo compleanno, ma solo per allusioni, con pudore estremo e una punta di autoironia.
Ne La mia casa, in primo piano sembrano essere gli oggetti, gli oggetti concreti, laddove il superfluo è quasi assente: un parapioggia grondante, una grossa chiave, un bastone da passeggio. Quanto ai componenti della famiglia, essi compaiono al completo uno dopo l’altro – il padre, la madre, la moglie, i figli -, ma li incontriamo solo di sfuggita, fra una stanza e l’altra. Quasi evanescenti agli occhi del lettore, ma come punti fermi di una vita per lo scrittore.
Ad essi si aggiungono altri personaggi, non meno sfocati ma pur sempre importanti: lo zio Corrado, la “favolosa donna fissa”, i parenti e gli amici sfollati in casa Levi durante la guerra, e altri. La famiglia è un mondo solidamente strutturato, ma all’occorrenza, e proprio per quella sua trama forte, è capace di aprirsi e di allargare i suoi confini.
Con Argon il quadro ci appare molto diverso. È come se facessimo un salto di dimensione. Lo spazio del racconto, ben oltre i muri di una singola casa, comprende l’intero Piemonte fino a focalizzarsi, dopo un accenno al paese di Bene Vagienna, residenza dei Levi per buona parte dell’800, su Torino e su un “alloggio fosco e cieco” in fondo a via Po. L’arco temporale è ben più ampio e parte dal 1500 per estendersi a grandi falcate ai decenni successivi all’emancipazione degli ebrei concessa dai Savoia nel ’48, fino a chiudersi negli anni ’20 del secolo scorso. In quello spazio e in quel tempo si muove “con un atteggiamento di dignitosa astensione” un brulicante novero di “zii” e di “zie”, di “barba” e di “magne” La narrazione procede attraverso ritratti folgoranti dei loro comportamenti spesso sorprendenti. È il mondo degli antenati dove la rete dei rapporti parentali si sovrappone e si confonde con quella dei rapporti intracomunitari. Le notizie sugli uni e sulle altre si tramandano attraverso le generazioni, senza troppo badare alle reali distanze nel tempo o nelle linee di discendenza, per arrivare alla fine ad alcune pennellate incancellabili su nonna Malia e sul padre di Levi.
Quel gruppo di famiglia allargato si distingue per alcuni tratti inconfondibili: un’intima inerzia dovuta forse a una storia più povera di quella vissuta da altre comunità ebraiche in Italia e in Europa; il fatto di non essere molto amato né molto odiato dai gojim, responsabili però di aver creato una “parete di sospetto” cui la minoranza oppone una “barriera simmetrica” non priva di orgoglio. Quel “mondo famigliare arguto, mite e assestato” non disdegnava d’altra parte di mescolarsi a volte con alcuni cristiani, facendo dei propri confini un luogo sfrangiato nella composizione e nei comportamenti. E per presidiare quei confini faceva uso di un “gergo particolare” dotato di una “funzione dissimulativa e sotterranea”; esso era frutto dell’incastro di termini ebraici nel dialetto piemontese e, anche nella sua comicità, rifletteva sia il contrasto “essenziale” fra l’ebraismo della diaspora e la “miseria quotidiana dell’esilio”, sia “quello insito nella condizione umana, perché l’uomo è centauro, groviglio di carne e di mente, di alito divino e di polvere”.
Ecco allora che il mondo degli antenati, la famiglia delle origini si presenta in un alternarsi nella memoria di colori forti e sfumati e, nella realtà, come il frutto della relazione complessa e contraddittoria fra mondo ebraico e mondo circostante, fra una cultura fortemente caratterizzata e l’universalità della condizione umana.
Infine la poesia Nel principio ci costringe a un ulteriore e vertiginoso salto di scala. Ai “fratelli umani”, tutti, Levi rivolge un richiamo severo: a riconoscersi tali nel nome di “nostro padre comune e nostro carnefice”, il “globo di fiamma, solitario, eterno” che, esplodendo “venti miliardi d’anni prima d’ora” diede la nascita a ogni cosa. In una tale prospettiva, alla famiglia umana, nel suo dolore, nelle fatiche di ogni giorno, negli occhi della donna amata, fino alla mano dello scrittore, non sono posti confini.
Di tutto questo sentirete nella lettura che sta per iniziare. Ma prima di metterci all’ascolto vi chiedo ancora un momento per potervi spiegare la scelta e l’accostamento dei tre testi cui ho appena accennato.
Nell’opera dei grandi autori siamo spesso tentati di cercare risposte alle nostre domande esistenziali. Nel caso di Levi, ad avere simili aspettative potremmo però rimanere delusi. Le sue pagine ci aiutano sì a entrare in mondi diversi, aprono in molte direzioni, ma più che dare certezze sollevano soprattutto interrogativi.
Sarete posti ora di fronte a tre situazioni diverse, che però fra loro hanno in comune almeno due elementi. Il primo è che di tutte lo scrittore si sente parte a pieno titolo. Il secondo è che quel suo sentirsi parte insieme ad altri è definito da termini – zio, zia, padre, fratelli, ecc. – che hanno una chiara connotazione parentale, come se l’ambito famigliare cui egli mostra di appartenere ogni volta si estendesse progressivamente, dal nucleo ristretto dei suoi congiunti più cari alla famiglia delle origini e all’ambito comunitario, fino alla famiglia umana; col che quei termini finiscono ovviamente per assumere significati, e dunque anche valori, via via diversi.
Ed è proprio su quelle diversità che vorrei orientare l’attenzione di tutti voi, tenendo conto ognuno della vostra esperienza e delle maggiori o minori affinità con il contesto ebraico piemontese di cui Primo Levi era figlio. Chiediamoci: fin dove si estendono i confini della famiglia nucleare e quali fattori favoriscono o meno la sua capacità di accoglienza? Come si pone il rapporto con le nostre origini e la relazione fra la famiglia e il gruppo o la comunità di appartenenza in un contesto determinato? Come può essere vissuto il passaggio, troppo spesso tutt’altro che lineare, fra la specifica appartenenza e una dimensione universalmente umana?
Fabio Levi
A questo link sul canale Youtube è possibile vedere la lettura integrale dei testi dall’attrice Irene Paloma Jona
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Giornata Europea della Cultura Ebraica – Matteo Bergamaschi
Pubblichiamo la lettera del Prof. Matteo Bergamaschi che ha partecipato, a nome dell’Arcivescovo di Torino Mons. Roberto Repole, alla Giornata Europea della Cultura Ebraica 2024:
Buongiorno, porto i saluti dell’Arcivescovo mons. Repole e della Commissione diocesana per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, a cui aggiungo i miei più cordiali saluti personali, alla Comunità Ebraica di Torino, in modo particolare al suo presidente dott. Disegni e a rav Finzi, e a tutti i presenti.
Il tema scelto per la Giornata Europea della Cultura Ebraica di quest’anno – la famiglia – è estremamente interessante e attuale. Come ricordato nel materiale messo a disposizione dall’UCEI, le famiglie di cui narra la Bibbia non sono mai idealizzate: esse sono invece raffigurate nella loro complessità, nei loro difetti e limiti, persino nei loro aspetti problematici e conflittuali – pensiamo ad esempio ad Adamo ed Eva, o alle famiglie dei patriarchi. Esse non sono aliene né da crisi di coppia né da conflitti tra fratelli, eppure l’agire divino si fa strada proprio nella fragilità dell’umano, aprendo percorsi di vita in situazioni altrimenti «bloccate», e rendendo questi percorsi fonte di benedizione per altri, così che è proprio questa fragilità e a volte precarietà dei nostri legami famigliari a diventare generativa, feconda.
In aggiunta, il tema della famiglia assume una prospettiva più ampia, dal momento che diventa un paradigma per pensare le relazioni tra gli esseri umani in generale. L’UCEI ha ricordato i nomi di rav Benamozegh, pioniere del dialogo tra ebraismo e cristianesimo, il quale ha sottolineato come per l’ebraismo l’umanità sia una grande famiglia il cui padre è Dio, e che l’elezione di Israele corrisponde alla funzione sacerdotale del figlio maggiore, che svolge dunque il proprio incarico nell’interesse di tutti. Si è inoltre ricordato anche rav Sacks: nel suo Non nel nome di Dio, egli spiega che appartenere alla famiglia dell’umanità, e in modo particolare alla famiglia di Abramo, comporta il riconoscere che ciascuno è benedetto da Dio, ciascuno è prezioso nella sua particolarità e nello specifico ruolo che esercita nella storia.
Personalmente, quando mi sono cimentato con il materiale fornito per questa Giornata, si è destato in me il ricordo di un autore che mi è molto caro, che ha rappresentato uno snodo decisivo nel mio percorso di studi: Emmanuel Levinas. Nel suo capolavoro, Totalità e infinito, l’autore tratta estesamente il tema della casa, cui è connesso quello della famigliarità. Scrive infatti: «La casa […] non è possesso nello stesso senso delle cose che può raccogliere e custodire. Essa […] è da sempre luogo di ospitalità per il suo proprietario». Ecco, credo che un potente messaggio suscitato dall’eredità biblica sul tema della casa e della famiglia sia proprio questo: attraverso la famiglia e la sua casa facciamo esperienza di essere prima di tutto degli accolti. In una società che sembra dominata dalla logica del business e degli affari, c’è prima di tutto l’evento di un’ospitalità, di un’accoglienza; e questo ci pone anche nelle condizioni di essere sensibili e aperti a coloro che bussano alle porte delle nostre case, domandando quell’ospitalità di cui siamo i custodi.
Prof. Matteo Bergamaschi
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Giornata Europea della Cultura Ebraica – Discorso Dario Disegni, Presidente Comunità
Discorso di Dario Disegni, Presidente della Comunità ebraica di Torino, città capofila della XXV edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica 2024, svoltosi il 15 settembre:
Autorità, rappresentanti delle confessioni religiose e delle Istituzioni, cittadini, ho l’onore di porgerVi il benvenuto della Comunità Ebraica di Torino alla XXV edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, che quest’anno vede Torino come città capofila a livello nazionale.
Correva l’anno 1424 quando gli Ebrei giunti in Piemonte una ventina di anni prima, dopo l’espulsione dalla Francia nel 1394, venivano ammessi ufficialmente a Torino. Sei secoli quindi di ininterrotta presenza, segnata da momenti di buona convivenza con la maggioranza e da altri di restrizioni e confinamento nei Ghetti fino all’emancipazione decretata da Carlo Alberto nel 1848, che portò gli Ebrei piemontesi a una intensa partecipazione alle guerre risorgimentali e poi alla prima Guerra Mondiale, quindi dalle persecuzioni razziali e dalla Shoah fino alla faticosa ripartenza nel dopoguerra e alla ricostruzione di una piena vita comunitaria, caratterizzata da notevole vivacità culturale e intellettuale, pur nelle ridotte dimensioni, grazie anche alla presenza di grandi figure di letterati, artisti e scienziati.
Quale migliore occasione per scegliere quindi, come ha fatto l’UCEI, Torino quale città capofila dell’edizione 2024 di questa importante manifestazione?
La GECE rappresenta da sempre una straordinaria vetrina per raccontare la storia e la cultura del mondo ebraico, con particolare riferimento a quello della Penisola e della città di anno in anno di riferimento, attraverso dialoghi, dibattiti, eventi teatrali e musicali, visite a Sinagoghe e cimiteri, degustazioni di prodotti tipici della cucina ebraica. Un’occasione fondamentale di incontro con la cittadinanza e di conoscenza di una realtà, spesso sconosciuta o presentata in maniera superficiale se non scorretta, vero antidoto quindi al pregiudizio e all’ostilità.
Non fa eccezione l’edizione di quest’anno, dedicata a un focus sul tema della famiglia, un concetto centrale nella vita ebraica, che verrà declinato in svariate modalità nel corso dell’intera Giornata.
L’Ebraismo, a partire dalla Torah – il Pentateuco – si racconta attraverso una storia, con lo scopo di trasmetterla e comunicarla, narrando “perché tu racconti alle orecchie di tuo figlio e del figlio di tuo figlio” (Esodo10,2).
E Mosè nel Deuteronomio sottolinea, tra l’altro, l’importanza della famiglia, strettamente connessa al patto d’amore, di generazione in generazione, tra il Signore e il popolo ebraico: un rapporto intimo, che potremmo a buon diritto definire di familiarità.
Nel dare inizio a questa Giornata, desidero innanzitutto dare lettura del messaggio inviato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha voluto onorare l’odierna manifestazione, in considerazione del suo alto valore, con l’assegnazione della Medaglia di rappresentanza del Capo dello Stato.
Dario Disegni
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Giornata Europea della Cultura Ebraica – Discorso di Noemi Di Segni, Presidente UCEI
Di seguito pubblichiamo il discorso di Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, pronunciato a Torino – città capofila – il 15 settembre 2024 in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica:
Discordo Presidente UCEI
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Giornata Europea della Cultura Ebraica – Messaggio del Presidente della Repubblica Mattarella
Pubblichiamo di seguito il messaggio del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella inviato alla Presidente UCEI Noemi Di Segni in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica 2024, svoltosi il 15 settembre in tutta Italia, con Torino città capofila. Il messaggio è stato letto il mattino della Giornata, all’interno dei saluti delle Autorità.
Messaggio Presidente Repubblica GECE 2024
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