L’ultimo giorno di Pesach ci ha lasciato Rav Elia Richetti, che avevamo ospitato in Comunità nel febbraio dello scorso anno in una bellissima e partecipata serata all’insegna della musica sinagogale, che era una sua grande passione. Spero che qualcuno possa raccogliere il testimone nella salvaguardia del patrimonio liturgico delle comunità italiane, alla quale Rav Richetti si era dedicato con coinvolgente entusiasmo. In una intervista del 2018 a Mosaico, commentando l’introduzione a Milano di musiche, sefardite, tunisine, ashkenazite, affermò: “Ho voluto portare il mondo intero su questa Tevà, ma sotto forma di note musicali”. Mi è difficile scrivere di una figura che ha dato tanto all’ebraismo italiano, in modo particolare alle comunità del Nord, per via dei numerosi aspetti, professionali e umani, che dovrei menzionare. La sua apertura verso il mondo e verso gli altri esseri umani in generale era notevole. Ha ricoperto un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella crescita del dialogo interreligioso. Amato rabbino capo di Trieste e Venezia, ha dedicato buona parte della sua esperienza rabbinica alla sua Milano, città in cui è nato, che ha conosciuto a fondo e amato. Mi ha colpito molto leggere le decine di commenti, di autorità e persone comuni, ebrei e non, nell’articolo del Bollettino di Milano che lo ricordava. Tutti lo hanno apprezzato per i suoi tanti interessi e per alcuni lati del suo carattere, che rappresentano un elemento fondamentale nella personalità di un rabbino: l’umiltà, la moralità, la curiosità, la disponibilità, la predisposizione all’ascolto, la simpatia, l’umorismo, la capacità di accogliere le persone con calore e disponibilità. Chi lo ha conosciuto non potrà dimenticare i suoi occhi, veloci e curiosi, che erano pronti a cogliere i minimi particolari in quello che vedeva, mantenendo la capacità di vedere il mondo con il candore di un bambino. Rav Richetti era coinvolto in mille progetti e iniziative, era sempre presente per tutti. Ero affascinato dalla sua presenza sui social network, dove interveniva con perizia e semplicità sulle questioni più disparate, non necessariamente rabbiniche. Maestro amatissimo nelle scuole ebraiche, rabbino presente nelle circostanze felici e tristi delle famiglie, cantore eccezionale nelle cerimonie in tanti Batè ha-keneset, ha istruito generazioni di ebrei italiani, accompagnando con dedizione la Comunità di Milano e non solo in una significativa crescita. L’ebraismo italiano perde un suo grande rappresentante, che è stato capace di essere il rabbino di tutti. Spero che in un prossimo futuro potremo assistere alla rappresentazione dello spettacolo scritto da lui, ispirato a Tewje il lattivendolo di Shalom Alechem, che doveva andare in scena a marzo scorso, bloccato per lo scoppio della pandemia. Il suo ricordo sia di benedizione.
Rav Ariel Di Porto