Si ricomincia!
Passata l’estate e in attesa dell’inizio dei mo’adim, le attività della comunità ripartono a pieno ritmo. Mi permetto di segnalare alcuni eventi del mese, andando per ordine. Ma prima volevo complimentarmi con un ragazzo della nostra comunità, Gabriele Treves, meglio conosciuto come Bibi, che ha entusiasmato l’Italia ebraica con le sue prestazioni alle recenti Maccabiadi di Budapest, facendo incetta di medaglie nel nuoto. Lo sport, oltre ai suoi benefici che non serve illustrare, svolge anche un’importante funzione nella socializzazione. Auspico che in futuro possa esservi una qualche forma di associazionismo sportivo amatoriale per i ragazzi della comunità.
Il 1° Settembre, Rosh Chodesh Elul, la comunità ha preso parte al “Progetto Rosh Chodesh” dell’UCEI. La scorsa volta la risposta è stata molto debole, in questa occasione è stata più adeguata, anche se a rispondere sono stati i frequentatori abituali, come spesso avviene.
Con settembre riprendono anche i corsi pomeridiani di Torà. Il mio corso, che inizierà mercoledì 11, verterà sull’ultimo capitolo del trattato di Pesachim, una delle fonti fondamentali nella nostra tradizione sul Seder di Pesach. La settimana successiva, giovedì 19, riprenderà il corso tenuto da Rav Somekh, che affronterà il pensiero di uno dei grandi maestri italiani, il Ramchal. Il primo incontro sarà dedicato alla presentazione dell’ultimo lavoro di Rav Somekh, l’edizione del testo di Rav Raffel Baruch Amar, vissuto all’inizio dell’Ottocento ad Alessandria, Sull’osservanza delle feste, che è stato studiato in questi mesi il Sabato pomeriggio durante la se’udà shelishit.
Il 15 si terrà il tradizionale appuntamento della Giornata Europea della Cultura Ebraica, che richiama sempre molti visitatori. In apertura, assieme alla dottoressa Rosamaria Di Frenna, affronteremo il tema della giornata, il sogno, studiandone le declinazioni nella tradizione ebraica e nella psicoanalisi.
Infine, da fine mese, i mo’adim autunnali. Segnalo due situazioni, che con il tempo si sono cronicizzate:
a) il minian di Cuneo. Come sapete, il piccolo gruppo di Cuneo, con grande impegno e abnegazione, organizza le tefillot di Kippur presso la propria Sinagoga. Negli ultimi anni purtroppo la scomparsa di alcune figure “storiche” alle quali eravamo legati da un sincero affetto, Davide ed Enzo Cavaglion e il Parnas Giorgio Foà, vere colonne portanti di quel Bet ha-keneset, ha complicato non poco l’organizzazione;
b) l’assenza di un Cohen nel Bet ha-keneset. Uno dei momenti più sentiti nelle tefillot dei mo’adim è certamente rappresentato dalla birkat Kohanim. Come saprete, negli ultimi anni i Kohanim che vivevano a Torino sono scomparsi o emigrati, e l’unica soluzione praticabile è quella di fare arrivare un Kohen da fuori Torino.
Chodesh tov a tutti voi!Rav Ariel Di Porto
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Studiate Torah con le vostre mogli!
Due volte i Figli d’Israele si sono ribellati per mancanza d’acqua nel deserto. La prima volta, appena usciti dall’Egitto, H. comandò a Moshe di percuotere la roccia con la verga (Shemot 17,6). La seconda, avvenuta quarant’anni più tardi a Merivah, D. ordinò a Moshe di parlare alla roccia, ma Moshe tornò a batterla e come è noto fu duramente punito (Bemidbar 20, 7-13). Spiega il Chatam Sofèr che ogni generazione ha il suo linguaggio. I reduci della schiavitù erano abituati alla violenza. I loro figli d’altronde comprendevano il valore delle parole e della persuasione. L’errore di Moshe fu di non aver capito la transizione. Anche noi dobbiamo comprendere che la comunicazione di oggi non è più la stessa di trent’anni fa e ci spetta adeguare il nostro linguaggio a quello, totalmente mutato, dei più giovani.
Con questo messaggio Rav Yechiel Wasserman dell’Organizzazione Sionistica Mondiale si è rivolto ai circa duecento capi spirituali convenuti dal 13 al 15 maggio scorsi ad Anversa in Belgio per la 31^ Conferenza Generale dei Rabbini d’Europa. La rappresentanza italiana era costituita dai Rabbanim R. Di Segni, G. Di Segni, A. Spagnoletto e U. Piperno (Roma); A. Arbib e D. Sciunnak (Milano); G. Piperno (nuovo Rabbino Capo di Firenze), B. Goldstein (Modena) e il sottoscritto.
Il tema generale era la trasmissione della Torah e della Tradizione a fronte delle sfide del mondo contemporaneo. In quattro mezze giornate di lavoro sono state affrontate numerose tematiche. Il Rabbino Capo sefaradita di Eretz Israel Rav Itzchak Yossef ha tenuto una lezione sul rapporto fra tecnologia e Shabbat nell’ambito della sicurezza nei Battè ha-Kenesset e ha ribadito che si può permettere secondo la Halakhah l’uso di telecamere a circuito chiuso nella misura in cui chi viene ripreso non compie di sua intenzione alcuna azione finalizzata alla proiezione della sua immagine nel video. Il Rav si è solo raccomandato che le riprese non avvengano all’interno del Bet ha-Kenesset per non disturbare lo svolgimento delle Tefillot e la concentrazione che esse richiedono.
L’oratore di maggiore spicco è stato il Rav Asher Weiss dell’Istituto Darkhè Horaah di Yerushalaim, da considerarsi una delle maggiori autorità halakhiche viventi. Ha presieduto due sessioni: la prima dedicata all’importanza delle diagnosi prenatali e la seconda alla carne prodotta attraverso lo sviluppo delle cellule staminali dell’animale come alternativa alla macellazione. Entrambe le lezioni sono state precedute da un’introduzione fornita da uno scienziato specialista con l’ausilio di filmati e power point.
Con grande chiarezza e lucidità di pensiero Rav Weiss ha affermato che non ci si deve trincerare dietro posizioni fataliste in gravidanza, ma si devono compiere tutti quegli esami che possono mettere in luce sindromi o malformazioni. Non solo gli strumenti diagnostici sono oggi assai più precisi che in passato, ma consentono di intervenire per tempo con sofisticatissime tecniche di microchirurgia intrauterina. Un filmato ci ha mostrato la correzione del ventricolo di un feto eseguito in gravidanza di recente all’Ospedale Hadassah di Yerushalaim.
Rav Weiss ritiene che non sia invece opportuno utilizzare queste tecnologie d’avanguardia alla ricerca in base alla genetica di eventuali future patologie del nascituro in età adulta, per non condizionarne l’esistenza con una preoccupazione remota. Rav Weiss si è espresso anche sui vaccini richiamando risolutamente l’importanza dell’obbligo vaccinale compresa la trivalente (ha-chissun ha-meshullash), sostenendo che i dubbi sollevati da alcuni su una presunta nocività non hanno finora trovato nessuna conferma nella comunità scientifica internazionale.
Sul tema della carne prodotta da staminali Rav Weiss ha affermato che non vi è base halakhica alcuna per permetterne la consumazione con il latte come taluni proporrebbero. Derivando da cellule animali essa resta carne a tutti gli effetti e perché sia kasher si richiede che le cellule provengano da animali kasher sottoposti a regolare Shechitah se uccisi. In un’altra sessione, presieduta da Rav Israel Meir Levinger, Rabbino emerito di Basilea, si è parlato proprio della Shechitah e delle procedure di stordimento richieste in alcuni paesi (Inghilterra).
Un’intera sessione è stata dedicata al tema scottante dei ghiyurim dei bambini. Rav David Cohen della Yeshivat Chevron ha tenuto un’importante lezione in cui ha contraddetto coloro che pensano che, trattandosi di minorenni, l’accettazione delle Mitzwòt non costituisce un vero obbligo in questi casi. E’ su questa base che per l’addietro si era facilitanti in queste procedure. Interpretando il Talmud in profondità Rav Cohen ha dimostrato invece come l’accettazione delle Mitzwòt sia in questi casi a carico del Bet Din che se la assume per conto del bimbo in attesa che questi compia tredici anni e la faccia propria. Se a questo punto il giovane gher non osserva le Mitzwòt ecco che c’è il rischio di invalidare a posteriori l’intero atto. Per questo è necessario che il Bet Din valuti caso per caso a priori l’effettiva disponibilità della famiglia e della stessa Comunità a condividere pienamente e seriamente questo impegno non solo a parole.
A proposito di famiglia, si è parlato anche di quella del Rabbino. Rav Meir Goldvicht della Yeshuva University di New York ha affrontato questa problematica insistendo molto sull’importanza che il Rabbino ritagli rispetto al suo lavoro spazi particolari per i suoi figli e ha concluso suggerendoci di dedicare del tempo anche a studiare Torah con le nostre mogli. Un invito estensibile non solo ai Rabbini, ma a tutti!
Rav Alberto Moshe Somekh
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Vecchio e nuovo antisemitismo – Tavola Rotonda Circolo dei Lettori Torino – 09.07.2018 – Intervento Rav Alberto Moshe Somekh
Fra gli anniversari “tondi” di quest’anno, oltre all’80° delle leggi razziali italiane vi sarà quello della “Notte dei Cristalli”, ordita come rappresaglia per l’assassinio di un funzionario dell’ambasciata tedesca a Parigi da parte di un ebreo di origine polacca. Mi ha sempre colpito soprattutto l’incredibile capacità di coordinamento dei perpetratori che sono stati capaci di dar fuoco a 191 sinagoghe, demolirne completamente altre 76, distruggere 815 negozi di ebrei, arrestarne non meno di 30.000 in tutta la Germania e terre limitrofe. Il tutto in una sola notte, fra il 9 e il 10 novembre 1938, in un’epoca in cui l’e-mail e what’s app non erano immaginabili.
Il mondo da allora è mutato. Dalle ceneri della Shoah e della II Guerra Mondiale è sorta una nuova umanità che ha sostituito il dialogo alla sopraffazione. L’Onu rappresenta almeno nelle intenzioni un luogo di incontro planetario fra gli stati per il confronto su problemi che in altre epoche avrebbero scaturito sanguinosi conflitti e in questo senso non ha precedenti. Persino le religioni dialogano oggi sui grandi temi di interesse comune, che vanno dall’assistenza sociale all’etica, secondo un nuovo modello di relazioni che ha avuto origine sostanzialmente dopo il Concilio Vaticano II. Anche questo è segno dei tempi mutati, che hanno sostituito gli anatemi e le guerre di religione con il dibattito. Siamo abituati a identificare la modernità come l’epoca delle più grandi scoperte scientifiche e tecnologiche. Ebbene, accanto a queste vi sono a mio avviso anche quelle che potremmo chiamare “scoperte umanistiche”, in quanto hanno impresso alla civiltà dei nostri tempi un progresso e un’accelerazione non meno rilevanti. Il dialogo è a tutti gli effetti la maggiore “scoperta umanistica” degli ultimi decenni. La tavola rotonda senza spigoli dove tutti i partecipanti si guardano in viso rappresenta l’attuazione della moderna convinzione per cui, come affermano ben due versi del libro biblico dei Proverbi (11,14; 24,6), “la salvezza può venire solo da più consiglieri”.
Già il Talmud accenna a tutto questo in un Midrash che affronta il tema della relazione di Israele con gli altri popoli (Berakhot 3a). Per noi ebrei non si tratta di semplice letteratura. Per noi si tratta di un testo carismatico, dotato di forza ispiratrice anche sotto il profilo religioso. “Rabbì Eli’ezer insegnava: La notte si divide in tre veglie e a ogni veglia il Signore siede e ruggisce come un leone. Il segnale d’inizio di ogni veglia è il seguente. Alla prima veglia un asino raglia. Alla seconda veglia un cane abbaia. Alla terza veglia, quando ormai si approssima l’alba, un bimbo succhia il latte da sua madre e una moglie conversa con suo marito”. Questo Midrash si presta a un’interpretazione simbolica che ci è stata fornita da Rabbi Loew di Praga, il famoso Maharal (1525-1609) nel sermone che tenne il giorno di Shavu’ot del 1592 nella Sinagoga di Posen, tre mesi dopo il suo incontro con l’Imperatore Rodolfo d’Asburgo (Netzach Israel, cap. 18).
La notte, spiega il Maharal, rappresenta l’esilio e la persecuzione, nella quale Israele dispera. Così come la notte è divisa in tre parti, altrettanto nel corso dell’esilio si possono identificare tre fasi successive. La prima fase è segnata dall’asino che raglia. E’ l’epoca in cui gli ebrei sono trattati come animali da soma: sono soggetti a tasse discriminatorie, pene e lavori forzati. I nostri persecutori ci confinano nei ghetti. La seconda fase è simboleggiata dal cane che abbaia. E’ la fase in cui l’antisemitismo si fa violento: i nostri aguzzini puntano a sterminarci. E’ la fase dei pogrom, delle accuse di omicidio rituale, degli auto da fè, del genocidio e dell’olocausto.
La terza fase è la più interessante di tutte. Ci sono almeno due modi per interpretare il simbolo della moglie che conversa con il marito. Non c’è dubbio che i coniugi vogliono rappresentare il dialogo. Il Maharal di Praga vuole significare che ad una fase di estrema violenza segue un’epoca nuova, completamente diversa. Alla ferocia brutale del Medioevo succede l’Umanesimo, una fase in cui la relazione fra Israele e gli altri popoli prende la forma del dialogo. Il simbolismo coniugale con le sue implicazioni emotive e il suo potenziale di avventura simboleggiano l’alba dei popoli, che chiama il popolo ebraico a compiti nuovi, a un confronto di tipo nuovo. “Il dialogo è iniziato fra Israele e il mondo e l’udienza (del Maharal con l’Imperatore) ne offre il primo segno tangibile. Ormai, ancora nelle brume del mattino che si disperderanno con l’avanzare del giorno, il Maharal sente che il popolo ebraico non sarà più né schiavo, né vittima del mondo, ma suo interlocutore” (André Neher, “Faust e il Golem”, Sansoni, 1989, p. 67).
Peccato che solo cinquant’anni più tardi, nel 1648 le orde brutali di Chmielnicki avrebbero precipitato gli ebrei della Mitteleuropa in un nuovo Medioevo. Il Midrash allude a un procedimento ciclico, a “corsi e ricorsi storici”? E’ possibile. Penso piuttosto che sia lecito dare della terza fase dell’esilio un’altra interpretazione, assai meno politically correct e molto più inquietante. La terza fase costituirebbe non un lieto fine, non un ribaltamento rispetto alle due fasi precedenti, ma semplicemente una continuazione e forse alluderebbe persino a un ulteriore deterioramento delle nostre condizioni: a una nuova fase di serie minacce, a un nuovo modello di persecuzione basato questa volta non sulla spada, ma sulla lingua. Anche il dialogo, giova ricordarlo, ha i suoi nemici. Vi sono gli oppositori del dialogo, che continuano imperterriti a usare la forza e vi sono i manipolatori del dialogo, bravi a mettere al proprio servizio le tecniche più raffinate della comunicazione giungendo a negare la realtà e plagiando, di fatto, uditori e lettori.
La società contemporanea si fonda sul multiculturalismo: con il processo di globalizzazione l’ebreo non è più preso di mira nella sua religione. Dopo la II guerra mondiale il popolo ebraico formò un gruppo pienamente inserito nella società. Le tesi antisemite dopo la Shoah restarono svuotate del loro contenuto teorico e l’odio antiebraico assunse una forma latente. Negli anni ‘80, contemporaneamente all’intensificarsi degli incidenti antisemiti, da parte dell’elite culturale in ambito intellettuale si sollevò una forte ondata di tesi negazioniste sulla Shoah. Negli Stati Uniti si diffuse il testo “Did six millions really die?” scritto da Ernst Zuendel, un tedesco emigrato negli USA e poi arrestato nel 2003 in Canada.
A partire dagli anni ’90 le tematiche revisioniste furono adoperate in funzione antisraeliana. E’ del francese Roger Garaudy il volume: “I miti fondatori della politica israeliana” pubblicato nel 1995. Il libro sostiene la tesi per cui la politica israeliana si fonderebbe su un mito inesistente, quello della Shoah appunto. Garaudy fu condannato nel 1998 per crimini contro l’umanità e diffamazione razziale. La condanna degli ebrei si giustifica ora grazie alla condanna dello stato ebraico. La nuova ideologia viene a colmare il vuoto causato dalla perdita delle molte tradizionali razionalizzazioni: deicidio, incarnazione del capitale, inferiorità razziale. Per delegittimare Israele gli ebrei sono accusati dei crimini da loro stessi subiti: già nel 1975 l’Onu condannò il sionismo come una forma di “discriminazione razziale”. La negazione diviene ora contraddizione: da un lato si nega che la Shoah sia mai avvenuta, dall’altro ci si ostina ad affermare che lo Stato d’Israele si vendica per la Shoah patita. E’ proprio lo strumento moderno della comunicazione a rivelare dell’antisemitismo ciò che è: un fatto contraddittorio e perciò totalmente irrazionale. Ma non meno pericoloso per questo: anzi. L’assenza di basi razionali lo rende oltremodo sfuggente a qualsiasi controbattuta.
La condanna dello stato ebraico è formulata dai mass media e dagli slogan di propaganda a fronte della presunta libertà d’espressione conquista del nostro secolo. Rendendo un vanto la possibilità di esprimere liberamente le proprie idee e di poter “dar voce” ai “popoli che soffrono” si accusa Israele di non rispettare i diritti umani che il mondo è riuscito a dichiarare come inviolabili; all’apparenza senza toccare i diritti dello stato ebraico, esso è discriminato e rinnegato. La discriminazione e il rifiuto però si riversano sull’ebreo che, come sempre nella storia, è temuto e quindi odiato.
Le grandi rivelazioni sono avvenute sulle montagne. Certo, scalare una montagna costa fatica, ma al culmine del percorso si è ampiamente ripagati. Le vette garantiscono non solo un’aria più pura, ma soprattutto larghezza di panorami, una capacità di volare alto e di includere visioni in un unico sguardo che prima non avevamo. Ciò che prima appariva al centro del mondo, ora si rivela come uno dei tasselli di una realtà molto più multiforme. Il dialogo, per essere valido, deve saper abbracciare gli orizzonti più vasti possibili. Per questo occorre dovunque appoggiare quelle forze politiche che favoriscono i legami tra i popoli aldilà dei confini nazionali. Noi ebrei siamo stati i primi europeisti della Storia! D’altronde la forza di un governo si vede dall’impegno che profonde nel tutelare le minoranze. Esiste un’emergenza antisemitismo virulento in Italia oggi? Per il momento no. Finché ci sono altri capi espiatori per i problemi della società. Qualora dovessimo ravvisare una minaccia del genere in futuro oggi sapremmo dove andare. E non esiteremmo in tal caso a incoraggiare i nostri giovani a lasciare l’Italia.
Voglio concludere con una nota ottimistica. Il Midrash si chiude con un’ulteriore immagine, quella del bimbo che succhia il latte da sua madre. Proprio quando le speranze per il futuro sembrano affievolirsi confidiamo nell’arrivo della redenzione. In termini politici e culturali questo significa partire da un approccio onesto ai problemi. Assai più che la fantomatica purezza di chi non ha mai peccato, direi che il bambino del Midrash simboleggi l’onestà. L’onestà di chi sa di avere delle responsabilità e le ammette senza addossarle agli altri. L’onestà di chi sa affrontare le difficoltà con impegno e serietà. Solo così l’umana civiltà saprà ritrovare i propri ideali, il “latte materno” vitale per la sua sopravvivenza e continuità. Perché l’antisemitismo non è solo un problema di noi ebrei. L’antisemitismo è una cartina al tornasole dei mali profondi di tutta quanta la società. Combattere l’antisemitismo significa, in un senso più ampio, combattere per una società più equa, più umana e più solidale. Volta non solo al profitto materiale, ma anche ai grandi valori di cui l’essere umano è portatore. Sempre che abbia la volontà di farsene portavoce.
Un esempio lampante di negazionismo riferito alla realtà israeliana è proprio di questi giorni. Del gruppo di ragazzi thailandesi imprigionati in una grotta è stato dato ampio risalto. Nessun organo di stampa europeo ha invece precisato che il contatto con i ragazzi che ora ne permette il salvataggio è stato possibile grazie a una ditta israeliana specializzata in sofisticati sistemi di comunicazione che possono agire in assenza di copertura di rete: la MaxTech che ha una filiale proprio in Thailandia. Il rappresentante locale della ditta, saputo della tragedia, ha avvertito la casa madre in Israele che è intervenuta senza richiedere alcun compenso. Non è la prima volta che Israele dà il suo fattivo contributo in situazioni drammatiche in giro per il mondo. Un know how d’assoluta avanguardia messo interamente al servizio del bene dell’umanità senza confini. A differenza di altre culture che certamente esaltano sia il sapere che l’agire morale, ma li assumono come valori separati e indipendenti, l’Ebraismo è forse il solo a predicare il fatto che sapere e agire morale devono agire insieme: in un certo senso sono un’unica cosa. Parallelamente alla demonizzazione di Israele si colloca il silenzio sotto cui passa tutto ciò che lo stato ebraico fa di buono. Ma noi Ebrei non ci lasciamo intimorire. Continueremo nei soli limiti delle nostre forze ad agire per la salvezza di vite umane e a santificare il Nome di Dio davanti all’umanità a dispetto dei nostri detrattori.
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Rinnovo CdA Archivio Ebraico Terracini
L’Assemblea dei Soci dell’Archivio Ebraico Terracini ha eletto nella riunione del 10 maggio scorso il nuovo Consiglio di Amministrazione, che è così composto: Alberto Cavaglion, Benedetto De Benedetti, Bianca Gardella Tedeschi, Marco Luzzati, Mario Montalcini, Benedetto Terracini, Lea Voghera Fubini.
Ha inoltre confermato come Revisore dei conti Nicola Treves.
Nella riunione del 15 maggio il neoeletto Consiglio di Amministrazione ha nominato al suo interno il Presidente nella persona di Bianca Gardella Tedeschi e il Vice Presidente nella persona di Marco Luzzati.
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70 anni dalla nascita di Israele
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A pane e acqua
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Hilkhot Bishul – IV parte (tratto da Ben Yish Chay, anno II, parashat Bo, halakhah 12)
- Published in Corsi-Lezioni del Ufficio Rabbinico -, Discorsi Rabbinici -
Il senso del Berit Milah (in onore del Berit Milah di Itzchaq Shon Navaei di Mary Zabichi)
- Published in Corsi-Lezioni del Ufficio Rabbinico -, Discorsi Rabbinici -
P. Mishpatim 5778 – Siamo liberi ma la strada è segnata (da una derashah di Rav Sacks)
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La libertà va conquistata (da una derashah di Rav Sacks)
La storia di Pesach è una narrazione molto antica e grandiosa, che narra di come un popolo abbia sperimentato l’oppressione e sia stato condotto alla libertà, dopo un lungo viaggio attraverso il deserto. Questa storia è stata fonte di ispirazione per molti nel mondo occidentale. Durante il Seder di Pesach leggiamo il famoso insegnamento, riportato a nome di R. Gamliel, secondo il quale chi non parlava del qorban Pesach, della matzah e del Maror non aveva adempiuto al proprio obbligo. Il motivo per cui sono stati decisi questi elementi è evidente: il sacrificio pasquale rappresenta la libertà, le erbe amare, per via del loro sapore, rappresentano la schiavitù. Il pane azzimo combina i significati. Era il pane che i nostri padri mangiavano in Egitto, quando erano schiavi, è il pane che mangiarono quando uscirono dall’Egitto da uomini liberi. Non solo il simbolismo, ma anche l’ordine in cui gli elementi compaiono è interessante. E’ strano che i simboli della libertà precedano quelli della schiavitù. Ci saremmo di certo aspettati il contrario. La risposta che viene data è che la schiavitù è veramente amara solo per chi conosce la libertà. Chi dimentica la libertà, prima o poi si abituerà alla schiavitù. Non c’è peggior esilio della dimenticanza di essere in esilio. Per comprendere la libertà, dobbiamo capire anzitutto che significa non essere liberi. La stessa libertà, come è noto, ha varie dimensioni, che sono riflesse in ebraico da due diversi termini, chofesh e cherut, “libertà da” e “libertà di”. La prima è la libertà che uno schiavo acquisisce quando viene liberato. Non si è più soggetti alla volontà di qualcun altro. Ma questa libertà non è sufficiente per costruire una società libera. Un mondo in cui ciascuno può fare quello che vuole sfocia facilmente nell’anarchia e poi nella tirannide. Questa liberazione è solo l’inizio della libertà, non la sua destinazione finale. Il secondo tipo di libertà è la libertà collettiva, in cui la mia libertà rispetta la tua. Una società libera è una conquista di carattere morale, alla quale la Torah tende. Esercizio della giustizia e della compassione, nel riconoscimento della sovranità di D. e dell’integrità del creato. Il messaggio di Pesach è potente ancora oggi: il predominio del diritto sul potere; l’idea che la giustizia appartiene a tutti, non a qualcuno; l’uguaglianza di tutti gli esseri umani sotto D. Ci vollero molti secoli perché questa visione venisse condivisa dalle democrazie occidentali, e, nostro malgrado, non ci sono garanzie che rimarrà così. La libertà è una conquista morale, e se non c’è uno sforzo educativo continuo, si atrofizza. Questi messaggi, che risalgono ad alcune migliaia di anni fa, sono oggi più che mai attuali.
Pesach kasher wesameach a voi e ai vostri cari.
Rav Ariel Di Porto
aprile 2018 – nissan-yiar 5778
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