
Nell’anno appena trascorso e nei primi mesi di quello corrente, in tutto il Paese, ma in modo speciale a Torino, si sono svolti convegni e seminari, pubblicati libri, realizzati film e documentari, mostre, programmi educativi nelle scuole per ricordare gli ottant’anni dalla promulgazione delle infami leggi razziste.
Macchia indelebile nella storia del nostro Paese, quelle leggi, ideate e scritte di pugno da Mussolini e firmate dal Re Vittorio Emanuele III, che rinnegava in tal modo quei diritti di uguaglianza concessi a tutti i “regnicoli” nel 1848 dal suo antenato Carlo Alberto, “trovarono – come ha sottolineato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – a tutti i livelli delle istituzioni, della politica, della cultura e della società italiana connivenze, complicità, turpi convenienze, indifferenza”.
Quella “indifferenza”, che la Senatrice Liliana Segre ha voluto fosse riportata a caratteri cubitali quale monito perenne contro un atteggiamento insidioso e carico di pericoli, ieri come oggi, sul muro del Binario 21 della Stazione Centrale di Milano, dal quale partivano i convogli per i campi di sterminio, divenuto oggi sede del Memoriale della Shoah.
Per ottant’anni nel nostro Paese il tema delle leggi razziali e della corresponsabilità delle istituzioni e di una parte della società (a parte qualche lodevole e qualificata attività di ricerca e convegnistica, rimasta però confinata all’interno della ristretta cerchia degli studiosi della materia) è stato sostanzialmente rimosso o comunque percepito in versione estremamente edulcorata dall’opinione pubblica, che ha in tal modo evitato di fare i conti con un passato scomodo, come ben più coraggiosamente ha fatto, ad esempio, la Germania.
Soltanto in questi mesi, per la prima volta, abbiamo assistito a un diffuso riconoscimento di quella pagina buia nella storia nazionale, che, con la negazione dei diritti, isolò dal resto della società i cittadini ebrei, aprendo la strada al dramma della deportazione e dello sterminio, ovvero alla negazione delle vite.
In questo 2019 ricorderemo poi, nel centenario della nascita, l’alto insegnamento che ci ha lasciato Primo Levi, di cui abbiamo ascoltato con intensa emozione lo scorso 21 febbraio la lettura di alcune pagine di straordinaria pregnanza e attualità, in una delle baracche del campo di Fossoli, da dove esattamente 75 anni orsono partirono i convogli diretti ad Auschwitz.
“Per noi parlare con i giovani – scriveva Primo Levi nella pagina conclusiva de “I sommersi e i salvati” – è sempre più difficile. Lo percepiamo come un dovere, ed insieme come un rischio: il rischio di apparire anacronistici, di non essere ascoltati. Dobbiamo essere ascoltati: al di sopra delle nostre esperienze individuali, siamo stati collettivamente testimoni di un evento fondamentale ed inaspettato, fondamentale appunto perché inaspettato, non previsto da nessuno. E’ avvenuto contro ogni previsione; è avvenuto in Europa; incredibilmente, è avvenuto che un intero popolo civile, appena uscito dalla fervida fioritura culturale di Weimar, seguisse un istrione la cui figura oggi muove al riso; eppure Adolf Hitler è stato obbedito ed osannato fino alla catastrofe. É avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”.
Oggi che i testimoni della tragedia delle leggi razziste e della Shoah stanno purtroppo scomparendo uno dopo l’altro, spetta a noi trasmetterne la memoria, non solo negli anniversari o il 27 gennaio, ma 365 giorni l’anno, soprattutto alle giovani generazioni, ignare di quell’orrendo passato o facile preda di una velenosa narrazione distorta, che si sta propagando a macchia d’olio, specie nei social media.
Trasmettere la memoria assume quindi il profondo significato di richiamare tutti a un indifferibile, oggi più che mai necessario, impegno civile e morale contro l’inquietante ripresa e il virulento sviluppo di fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo (spesso mascherato da un cosiddetto antisionismo), xenofobia, odio per tutti i diversi, a cui assistiamo sbigottiti in tutto il mondo, in Europa e nel nostro Paese.
Un impegno, come la Comunità Ebraica insieme a quella Valdese ha inteso ribadire nelle manifestazioni delle scorse settimane, in ricordo dell’emancipazione del 1848, e come è apparso nella scritta a caratteri cubitali che ha illuminato la Mole Antonelliana, che ci deve vedere in prima linea “per i diritti di tutti”.
Dario Disegni