Uno dei termini che negli ultimi mesi si sente più frequentemente, nei più svariati contesti, è il termine ripartenza. Quanto avverrà prossimamente avrà senza dubbio un forte valore simbolico ed un impatto sui comportamenti e sulle abitudini che in futuro ci accompagneranno. Credo che questo discorso sia molto rilevante anche per la nostra Comunità. Gli sforzi profusi da parte della Comunità nell’ultimo anno non hanno raggiunto uniformemente tutti gli interessati. Ciò è imputabile a diversi fattori e limitazioni, dettati dalla situazione contingente. A breve, ci auguriamo tutti, queste limitazioni verranno accantonate, e sarà possibile tornare a una vita simile a quella che conoscevamo. Al contempo, anche le giustificazioni verranno ridimensionate. Durante l’ultimo Shavu’ot, vissuto nell’ansia e nell’angoscia per via della drammatica situazione in Israele, si è percepita in maniera abbastanza netta, ancora più che in passato, la disaffezione verso il Beth ha-Keneset da parte di un segmento fondamentale della Comunità, rappresentato dagli under 60 (!). Anche se ragioniamo sulle attività online organizzate negli ultimi mesi, il discorso non si sposta di molto. Certe dinamiche coinvolgono tante comunità della diaspora, e hanno diverse cause. Ad esempio, parlando in generale, gli elementi territoriali in un contesto sempre più globalizzato esercitano un peso progressivamente inferiore. Non vorrei ripetermi, ma per una realtà come la nostra queste dinamiche possono rivelarsi fatali. I gruppi più grandi risultano assottigliati, quelli più piccoli formalmente rimangono in piedi, ma di fatto non esistono. Noi ci troviamo, per via dei nostri numeri e della nostra struttura, in un momento cruciale per il nostro futuro, perché, in assenza di un ricambio fisiologico, la strada è irrimediabilmente – parola orrenda e per nulla ebraica – segnata. Pensare che non vi sia materiale umano sarebbe miope. Le persone e le risorse ci sarebbero, spesso mancano impegno e coinvolgimento. Anche qui le cause possono essere molteplici: sicuramente è possibile recriminare e attribuire alla struttura determinate carenze, ma per quanto i singoli individui possano esercitare un’influenza, francamente, per quanto si possa fare autocritica, sarebbe sovrastimata. Storicamente dei nuclei ben più piccoli, e per evidenti motivi più compatti, riuscivano a strutturare una vita ebraica più intensa e consapevole della nostra. È innegabile che le mutate caratteristiche del nostro mondo abbiano esasperato determinati processi, già in atto, ma il mondo ebraico nel tempo si è distinto per l’elaborazione di modelli originali che permettessero di confrontarsi con i cambiamenti. Questa ripartenza può essere l’occasione per avviare una nuova era per la nostra Comunità, ma è indispensabile il contributo di tutti.
Rav Ariel Di Porto