70 anni dalla nascita di Israele
da
Tedesco (URT e ArcT)
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26 Aprile 2018 – י״א באייר ה׳תשע״ח
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E’ passata una vita, settant’anni dalla Dichiarazione di indipendenza dello Stato d’Israele. Tante sono le sensazioni e le emozioni che in ciascuno di noi si affacciano, al pensiero di quante cose sono successe. Tanta è la gratitudine per coloro che alla costruzione di Israele hanno dedicato la propria vita e per coloro che l’hanno persa per difenderlo. In questi settant’anni Israele ha affrontato prove di ogni tipo. Nella sua storia, governata da esseri umani, non si può non intravedere un indirizzo divino. Se la votazione all’ONU del novembre 1947 che ha permesso la realizzazione di questa aspirazione millenaria del popolo ebraico si fosse tenuta oggi, il risultato sarebbe stato molto con molta probabilità differente. I recenti pronunciamenti dell’UNESCO sull’ebraicità di Gerusalemme, e le veementi reazioni da più parti all’annuncio statunitense di volere spostare l’ambasciata sono segnali da non sottovalutare. Israele è regolarmente uno dei paesi più sanzionati dagli organismi internazionali, che non mostrano però interesse nei confronti di tutto ciò che avviene intorno nella polveriera mediorentale, senza considerare la vivida concretezza della minaccia terroristica, cancro con il quale Israele si è confrontato e ha quasi del tutto superato, mettendo sul campo molte forze, facendosi carico scelte impopolari e soprattutto indifendibili agli occhi di molti europei, che non sono ancora riusciti ad inquadrare il problema, figuriamoci a trovare una soluzione. L’idea che la salvaguardia della vita dei propri cittadini e dei propri soldati, così come la difesa dei propri confini, siano una priorità per uno stato sovrano non incontra evidentemente approvazione dalle nostre parti. Le conseguenze sono devastanti. Il campo di battaglia negli ultimi anni si è spostato sensibilmente. Un certo tipo di contro-narrazione ha dilagato, mettendo sempre più in discussione la legittimità di Israele di fronte al consesso delle nazioni. Israele rappresenta a livello collettivo quello che l’ebreo ha rappresentato per il resto del mondo per due millenni.
L’avanzata del movimento BDS nel mondo accademico, nei parlamenti e nei media ha consentito una falsificazione sistematica dei fatti. Con rammarico devo prendere atto del fatto che l’Università di Torino è in primissima fila in questo esercizio di disonestà intellettuale. Non intendo dire che non sia possibile criticare Israele per le sue scelte politiche, ma per formulare un giudizio, di qualsivoglia natura, è necessario poter disporre di dati per quanto possibile oggettivi, e questo oggi in Europa è sempre più difficile.
I media, tranne rarissime eccezioni, non perdono l’occasione per rafforzare l’idea che in Israele avvenga una violazione continua dei diritti umani, senza tenere in considerazione quanto si verifica in maniera pressoché sistematica in molti paesi dell’area, nei quali l’esercizio delle libertà fondamentali è, a oggi, un miraggio che rischia di rimanere tale per molto, molto tempo.
Gli ebrei della diaspora si trovano sempre in maggiore difficoltà nel sostenere Israele, senza considerare che la loro stessa incolumità è sempre più sistematicamente a rischio. Queste dinamiche ricordano tristemente quelle degli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale, quando gli americani nella conferenza di Evian del ’38 affermavano che il mondo si diceva preoccupato per gli ebrei, ma non era disposto a fare alcunché per aiutarli. Non si comprende tuttavia che il pericolo per gli ebrei europei costituisce una sfida mortale ai valori sui quali la nostra società è costruita.
Nonostante tutte queste ombre, possiamo sperare di avere un futuro luminoso oltre ogni aspettativa. La società israeliana è una società giovane, plurale, dinamica, all’avanguardia in moltissimi campi. Le università israeliane competono ai massimi livelli, sfornando continuamente scoperte rivoluzionarie e innovazioni tecnologiche. La crescita demografica si attesta su livelli molto più alti di quelli del mondo occidentale. In 70 anni la popolazione ebraica è decuplicata, e si prevede che nel 2048 sfiorerà i 15 milioni. Gli ebrei in Israele prima della Shoah erano il 3% per dell’ebraismo mondiale, oggi il 45. Sono stati accolti quasi un milione di ebrei mediorientali, che non avevano più una casa, e un milione di ebrei russi. A breve la maggioranza degli ebrei del mondo vivranno in Israele. Raramente nella storia umana abbiamo assistito ad un ritorno di questa portata.
Ma, dobbiamo ricordarlo, lo stato di Israele è oggi il centro di un corpo. C’è un anima da coltivare e far crescere. Israele deve essere sempre di più il promotore dei valori che ispirano la nostra tradizione. Israele è oggi, senza ombra di dubbio, il principale centro di studi ebraici, religiosi e secolari. Questo ha dato un impulso incredibile ad un processo che in due millenni di diaspora non era mai fiorito compiutamente. Rav Shraga Simmons ricorda che alcuni anni fa dei funzionari russi visitarono l’ospedale Alin di Gerusalemme, un polo di avanguardia per la riabilitazione dei disabili, con strutture per la fisioterapia, l’idroterapia, la logopedia e la consulenza psicologica. Uno dei rappresentanti russi chiese: perché sforzarsi tanto per dei bambini handicappati? Perché? Questo è il grande sforzo che Israele compie, si tratti degli orfani di Gerusalemme o un villaggio in Thailandia. Insegnare al mondo che cosa significa preoccuparsi e prendersi cura di ciascun singolo essere umano. Questo perché le parole che i nostri profeti, tanti secoli fa, hanno pronunciato, possano trovare il posto che compete loro nel mondo, senza aggressività, senza doppiezza alcuna. Non vogliamo essere un paese normale, come diceva Ben Gurion, con le sue prostitute e i suoi ladri. Israele non esiste solo per le sue spiagge, i suoi concerti, Wonder Woman. Non è questo il senso della nostra storia. Vogliamo, sempre di più, essere un’ispirazione per il mondo.
Rav Ariel Di Porto
maggio 2018 – yiar-sivan 5778